I CHECK-POINT CONTRO L'AIDS

data di pubblicazione:

20 Novembre 2019

I check-point contro l’Aids in Italia cominciano a sorgere anche in Italia presidi fuori dagli ospedali dedicati allo screening dell’infezione da Hiv e alla promozione della salute sessuale.
Tre «90» per abbattere l’Aids. Queste le misure ideali che Unaids (Programma delle Nazioni Unite per l’Aids/Hiv) ha posto come obiettivo da raggiungere entro il 2020 per riuscire a sconfiggere l’Aids entro il 2020.

Diagnosticare il 90 per cento delle persone affette dal virus Hiv; far sì che il 90 per cento delle persone consapevoli del proprio stato sierologico abbia accesso al trattamento farmacologico; raggiungere la soppressione della carica virale nel 90 per cento delle persone in trattamento antiretrovirale.

Un’iniziativa condivisa anche dall’Italia che, con Milano e Bergamo, e adesso anche Firenze, ha aderito al programma Fast Track Cities, circuito internazionale nato per condividere strategie e programmi di prevenzione a favore della lotta all’Aids.
L’ingresso di Milano nel programma Fast Track Cities ha rappresentato inoltre lo stimolo per formalizzare l’apertura di un secondo checkpoint italiano, Milano Check Point, avvenuta lo scorso febbraio. Un presidio dedicato alla promozione della salute sessuale che offre la possibilità di sottoporsi ai test di screening per le malattie a trasmissione sessuale al di fuori delle strutture ospedaliere tradizionali.
La speranza è poter raggiungere un’utenza allargata, comprensiva delle persone che per timore non si reca in ospedale per sottoporsi a controlli regolari. La struttura mira a implementare prevenzione e diagnosi precoce. «Dall’apertura sono stati effettuati 312 test di cui 5 con positività per virus Hiv, confermate tramite successivo prelievo ematico e ora in trattamento presso gli ospedali cittadini — racconta Daniele Calzavara, attivista Arcigay e referente Milano Check Point — Circa 25 gli accessi per ogni pomeriggio d’apertura; 28 anni, l’età media degli utenti: 50 per cento Msm (uomini che fanno sesso con uomini), 30 per cento donne eterosessuali, 20 per cento maschi eterosessuali. Nella struttura è anche possibile richiedere un appuntamento per valutare se intraprendere il trattamento PrEP, la profilassi pre-esposizione».

Presso il centro milanese sono un centinaio le persone in trattamento PrEP, circa 50 in lista d’attesa per un primo appuntamento.
Età media 39 anni: 95 per cento Msm, 3 per cento maschi eterosessuali, 2 donne transgender.
«Sono emersi riscontri di positività anche per Clamidia e gonorrea attraverso tamponi anali.
Inoltre il 20 per cento degli utenti PrEP usa chems (specifiche sostanze stupefacenti a scopo sessuale) almeno una volta tra un nostro follow-up e l’altro, che avviene ogni 3 mesi» aggiunge.
Una presenza territoriale, quella dei checkpoint, comparsa in Italia per la prima volta nel 2015, con il BLQ Checkpoint a Bologna.
«Portiamo avanti due progetti: il vero e proprio checkpoint, grazie ai fondi pubblici, e il progetto Sex Check, finanziato privatamente, grazie al quale cerchiamo di implementare la PrEP monitorando nel contempo le infezioni a trasmissione sessuale» spiega Sandro Mattioli, presidente Plus Onlus, referente del centro bolognese.
Circa 12 utenti al giorno, finora 4.054 test per virus Hiv di cui 22 risultati positivi, Msm sotto i 35 anni.
Non solo: 2.556 test per virus Hcv (per l’epatite C) di cui 2 positivi; 1.109 test per sifilide di cui 15 positivi; 275 test per Clamidia e gonorrea (screening iniziato da poco) di cui 28 positivi, tutti Msm con una età media di 40 anni.
Gli esiti positivi sono stati presi in carico dai centri clinici di riferimento, come il Policlinico S. Orsola di Bologna. «È necessario implementare l’esecuzione del test per Hiv per avere una diagnosi precoce e un rapido accesso al trattamento — rinforza Mattioli — .
Per quanto riguarda i tre “90”, infatti, in Italia il problema consiste soprattutto nel raggiungimento del primo traguardo». La struttura del checkpoint vuole rappresentare un ulteriore strumento per implementare soprattutto questo «90».

«Raggiungere lo stato di non rilevabilità della carica virale il più rapidamente possibile (grazie al tempestivo accesso alle terapie) riduce fortemente il virus in circolazione, di conseguenza i nuovi contagi. Ma è importante anche implementare la lotta allo stigma, la “zero discriminazione”, prevista dalla Dichiarazione di Parigi — conclude Mattioli —. Laddove la discriminazione è molto presente, infatti, i dati relativi al contagio da Hiv sono decisamente alti».

L’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita) rappresenta lo stadio clinico terminale dell’infezione da parte del virus dell’immunodeficienza umana, l’Hiv.
I dati Unaids parlano di 36.9 milioni di persone al mondo affette dal virus Hiv: solamente il 75% conosce il proprio stato sierologico, 3 su 5 sono in trattamento antiretrovirale, meno del 50% ha una carica virale soppressa.
In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2017 rilevano 3.443 nuove diagnosi di infezione da Hiv, l’incidenza maggiore nella fascia di età 25-29 anni. I casi più numerosi sono attribuibili a trasmissione eterosessuale (46%), seguiti dai casi relativi a Msm (38%), mentre le persone che usano sostanze rappresentano il 3% delle segnalazioni. Segnalati 690 casi di Aids, oltre il 70% costituito da persone che non sapevano di essere Hiv positive.

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