Un editoriale di Fuoriluogo commenta la negata revisione della classificazione internazionale della foglia di coca da parte del comitato di esperti dell’OMS. Avanzata da Bolivia e Colombia, la proposta è stata bocciata dagli esperti di OMS con la motivazione che l’estrazione della cocaina dalla foglia è tecnicamente semplice, con rese elevate e alta redditività economica. Tale decisione sembra precludere a una possibile rimozione della foglia di coca dalla tabella I della Convenzione Unica del 1961 sugli stupefacenti.
“La foglia di coca resta dov’è: nella Tabella I della Convenzione Unica del 1961 sugli stupefacenti, insieme alle sostanze ritenute “di rischio particolarmente grave” per la salute pubblica, con scarso o nullo valore medico. Con il parere espresso alla 48ª riunione (20–22 ottobre 2025), il Comitato di esperti dell’OMS sulle droghe di abuso (ECDD) ha chiuso il processo di revisione della classificazione internazionale della coca, respingendo nei fatti la richiesta di de-schedulazione avanzata dalla Bolivia e dalla Colombia e sostenuta da organizzazioni indigene e società civile.
La raccomandazione è chiara, nonostante il rapporto degli esperti dell’OMS renda evidente la non pericolosità della foglie in sè: l’ECDD suggerisce che la foglia di coca sia mantenuta in Schedule I della Convenzione Unica del 1961. Dietro questa formula apparentemente tecnica si gioca però un passaggio politico pesante, che intreccia la storia coloniale del controllo sulle droghe, i diritti dei popoli indigeni e il fallimento delle politiche di guerra alla coca e alla cocaina.
La foglia di coca entra nel sistema dei trattati ONU nel modo più violento possibile: nel 1961 viene inserita in Tabella I, e la Convenzione ordina di far cessare entro 25 anni la pratica tradizionale della masticazione, trattandola come una forma di “tossicodipendenza” da estirpare.
Quella scelta si basava sul famigerato rapporto della Commissione d’inchiesta sulla coca del 1950, oggi ampiamente criticato per i suoi presupposti razzisti e coloniali. I diritti, la cultura e la spiritualità dei popoli andino-amazzonici sono rimasti ai margini.
Una prima “pre-review” dell’OMS nel 1992 conferma la classificazione, motivandola soprattutto con la facilità di estrazione della cocaina dalla foglia: non conta tanto l’uso tradizionale, quanto il fatto che da quella pianta si possa produrre una sostanza già controllata.
Nel 2023 la Bolivia chiede formalmente al Segretario generale dell’ONU e all’OMS di avviare un riesame critico della foglia di coca, con l’obiettivo di rivederne la schedatura. La richiesta è accompagnata da un dossier tecnico e da un vasto sostegno politico e sociale.
Attorno al processo si mobilitano reti come IDPC, TNI, WOLA, le organizzazioni di produttori e consumatori tradizionali di coca, che vedono nel riesame un’occasione per riconoscere finalmente la foglia come pianta con usi culturali, sociali e potenzialmente terapeutici, distinta dalla cocaina come droga di mercato illecito.
Per la prima volta dopo decenni, la comunità internazionale sembrava davvero pronta a rimettere in discussione un pilastro del sistema proibizionista. Il parere del 48° ECDD ha invece richiuso la finestra.
Il rapporto dell’OMS, di cui avevamo anticipato la bozza qui, ricostruisce chimica, farmacologia, usi tradizionali e moderni, tossicità e potenziali impieghi terapeutici della coca. Molti passaggi sono in netto contrasto con l’immagine demonizzata della pianta. L’analisi degli studi disponibili non evidenzia danni clinicamente significativi per la salute pubblica associati all’uso di foglia di coca; l’uso tradizionale, in particolare nelle forme di masticazione e infusi, appare a rischio limitato, senza casi documentati di overdose fatali.
Anche sul versante della dipendenza e dell’abuso, l’OMS riconosce che la coca non è associata a un rilevante potenziale di dipendenza o abuso negli usi tradizionali documentati, e che i pattern problematici risultano limitati e spesso difficili da distinguere dal consumo di cocaina. Allo stesso tempo, viene riconosciuta l’importanza culturale, spirituale e terapeutica della foglia per i popoli indigeni e per altre comunità, così come l’esistenza di eccezioni e regolazioni speciali in diversi ordinamenti nazionali che già oggi tutelano o regolano l’uso tradizionale.
Sul fronte medico, infine, l’OMS registra elementi preliminari su possibili proprietà terapeutiche della pianta – per esempio in relazione al metabolismo, alla fatica, all’adattamento all’altitudine – giudicandoli di grande interesse per futuri sviluppi, una volta accertati efficacia e sicurezza in ambito clinico.
In base a queste conclusioni, molti si aspettavano almeno un ridimensionamento del livello di controllo, se non la rimozione dalla Tabella I.
La decisione finale dell’ECDD si appoggia, portandolo alla sua estrema interpretazione, su uno dei criteri chiave dei trattati: una sostanza può essere sottoposta a controllo internazionale se è suscettibile di abuso e produce effetti simili ad altre sostanze già in elenco, oppure se è “convertibile” in una sostanza già inserita nelle Tabelle I o II.
Per la foglia di coca, il Comitato ribadisce che la coca e la cocaina sono considerate sostanze distinte, ma entrambe già collocate in Schedule I. Ricorda che l’estrazione della cocaina dalla foglia è tecnicamente semplice, con rese elevate e alta redditività economica, e sottolinea come negli ultimi anni si registri un aumento delle coltivazioni di coca e della produzione globale di cocaina, con impatti evidenti sulla salute pubblica.
Da qui la conclusione: ridurre o eliminare i controlli internazionali sulla foglia di coca potrebbe, secondo l’OMS, comportare un rischio particolarmente serio per la salute pubblica, perché faciliterebbe la produzione di cocaina. La foglia non viene giudicata per quello che è e per come viene effettivamente utilizzata, ma per quello che può diventare lungo la filiera illegale.
Risultato: mantenere la coca in Tabella I per il suo ruolo di materia prima della cocaina, nonostante il riconoscimento dei rischi relativamente contenuti dell’uso tradizionale e della centralità culturale della pianta.
Letta in controluce, la scelta dell’OMS appare come una difesa dell’architettura proibizionista più che una valutazione neutra di salute pubblica. A differenza di quanto avvenuto per altre piante psicoattive – come khat, kratom, ephedra – che l’OMS ha scelto di non raccomandare per il controllo internazionale, nel caso della coca il criterio della “convertibilità” viene usato in modo rigido, ignorando quasi del tutto il contesto storico e i diritti indigeni.
Il paradosso è evidente: da un lato, il Comitato riconosce che l’uso tradizionale della foglia non costituisce un rischio particolarmente grave e che non esistono prove robuste di un alto potenziale di dipendenza; dall’altro, conferma la classificazione più severa possibile, sul piano giuridico equiparandola a sostanze come eroina e fentanyl, in nome della lotta alla cocaina.
Ancora una volta, la responsabilità per i danni legati alla cocaina viene scaricata sulla pianta e sulle comunità che la coltivano e la usano da secoli, invece che sulle politiche repressive e sul mercato illecito che esse stesse alimentano.
Fra le voci più critiche c’è quella di Steve Rolles, senior policy analyst di Transform Drug Policy Foundation, che ha commentato a caldo le conclusioni dell’ECDD. Rolles ricorda innanzitutto che la Tabella I è la categoria più restrittiva del sistema ONU: quella che dovrebbe essere riservata alle sostanze con il più alto rischio in termini di dipendenza e “abuso”, e con uso medico molto limitato. Mantenere la foglia di coca in questa tabella significa continuare a collocarla accanto a cocaina, eroina, fentanyl.
Proprio qui sta, per Rolles, l’elemento più scandaloso: “l’ECDD raccomanda questa collocazione nonostante le proprie stesse conclusioni. Il Comitato – sottolinea – ha stabilito che non ci sono evidenze di danni clinicamente significativi per la salute pubblica legati all’uso di foglia di coca e che la coca non è associata a un significativo potenziale di dipendenza o abuso negli usi tradizionali. Al tempo stesso, ha riconosciuto che le evidenze preliminari sulle potenziali proprietà terapeutiche della pianta sono di grande interesse per futuri sviluppi in medicina“.
In altre parole, se si guardasse solo alla foglia e ai suoi usi reali, i criteri della Tabella I non sarebbero affatto soddisfatti. Per Rolles, l’unico argomento rimasto sul tavolo è lo stesso che regge da decenni l’ingiusta schedatura della coca: il fatto che la foglia venga usata per produrre cocaina. Sì, la foglia contiene meno dell’1% di alcaloide cocaina, e una sua estrazione grezza è tecnicamente relativamente semplice. Ma i rischi del consumo di polvere di cocaina o di crack – prodotti sviluppati e commercializzati storicamente nel Nord globale, che ne è anche il principale mercato – sono di tutt’altra natura rispetto all’uso tradizionale di coca, che si concentra nel Sud globale e nelle comunità indigene che subiscono la repressione e la criminalizzazione.
Rolles ricorda come le comunità indigene direttamente colpite dall’illecito e dalle politiche di guerra alla coca furono escluse dai processi decisionali degli anni ’50 che portarono alla criminalizzazione della foglia. Il regime globale di controllo delle droghe è, nelle sue parole, “un prodotto del colonialismo del XX secolo che continua a sopravvivere grazie al neo-colonialismo del XXI. Il riesame era stato richiesto da Bolivia e Colombia, ma è stato tradito a Ginevra“.
Per questo definisce l’esito del riesame “un giorno buio per chi cerca un sistema di controllo delle droghe più giusto e pragmatico“. Ci si sarebbe potuti aspettare decisioni di questo tipo da organi politici intrappolati nella retorica della “war on drugs”; ma il fatto che anche uno spazio presentato come più scientifico e indipendente, come il Comitato dell’OMS, si allinei a questa logica, per Rolles spezza l’illusione che dentro l’ONU possano esistere contropoteri tecnici realmente autonomi. È, nelle sue parole, “una decisione vergognosa, che rappresenta un tradimento crudele dei diritti indigeni, della salute pubblica, della giustizia ambientale, degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dello stesso mandato delle Nazioni Unite”.
Formalmente, il parere dell’OMS è consultivo: spetterà alla Commissione ONU sugli stupefacenti (CND) pronunciarsi sulle raccomandazioni e decidere se modificare o no la schedatura della coca. Storicamente, però, gli Stati tendono a seguire le indicazioni dell’OMS quando si tratta di sostanze con rilevanza medica o sanitaria.
Dopo il parziale ripensamento su cannabis nel 2020, quando la CND ha accolto solo una parte delle raccomandazioni dell’OMS, molti speravano che il caso coca potesse aprire un varco per una riforma più profonda del sistema. Il parere del 48° ECDD rende questa prospettiva molto più difficile, ma non chiude il dibattito. La documentazione prodotta nel processo di revisione – compresi i rapporti dell’OMS e i contributi della società civile – offre oggi una base scientifica e politica più solida per contestare la schedatura della foglia.
I governi che sostengono la de-schedulazione possono usare queste evidenze per chiedere una revisione del criterio di “convertibilità” e una maggiore coerenza con i precedenti su altre piante; le organizzazioni indigene possono rivendicare con ancora più forza che la proibizione della foglia è incompatibile con i diritti riconosciuti dall’ONU ai popoli nativi, a partire dalla Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni.
La storia del riesame OMS sulla foglia di coca non è solo un capitolo tecnico nelle carte delle Nazioni Unite. È la fotografia di un conflitto aperto fra due visioni: da un lato, un sistema di controllo internazionale che continua a leggere la coca quasi esclusivamente come materia prima della cocaina; dall’altro, milioni di persone per cui quella foglia è alimentazione, medicina popolare, identità, spiritualità, lavoro e reddito.”