un’idea di lavoro sociale anti-oppressivo

"Ci rivolgiamo a quegli operatori sociali e studiosi che, come noi, credono in una giustizia sociale che riconosca come le disuguaglianze sociali siano radicate nella storia e nella struttura della nostra società"

il documento critica il processo di medicalizzazione della devianza e promuove un'idea di lavoro sociale fondata sul sapere critico

data di pubblicazione:

5 Dicembre 2025

Un gruppo di assistenti sociali, educatrici ed educatori, formatrici, ricercatrici e ricercatori, psichiatri e sociologi, attraverso un documento programmatico in sette punti, stanno promuovendo un’idea di lavoro sociale anti-oppressivo. Il documento, denominato “Manifesto del lavoro sociale anti-oppressivo”, muove da una dura critica al mandato di controllo sociale sempre più intrinseco al lavoro sociale, e si pone come obiettivo di fondo la promozione di metodologie e di pratiche di lavoro di tipo critico.

Ci rivolgiamo a quegli operatori sociali e studiosi che, come noi, credono in una giustizia sociale che riconosca come le disuguaglianze sociali siano radicate nella storia e nella struttura della nostra società, e che promuova il rafforzamento delle voci e delle esperienze delle persone, cercando di coinvolgerle attivamente in un processo di cambiamento del loro contesto di vita.

Siamo in molti ormai a riconoscere, di fronte alla complessità dei fenomeni sociali attuali, l’insufficienza delle teorie e degli approcci dominanti nel lavoro sociale e vogliamo impegnarci a promuovere un pensiero diverso, consapevoli che anche nelle nostre pratiche professionali possiamo perpetuare dinamiche oppressive.

(…) È fondamentale concentrarci non sulla punizione, ma sulla possibilità di un cambiamento, adottando un’ottica di empowerment. L’approccio anti-oppressivo promuove il rafforzamento delle voci e delle esperienze delle persone oppresse, cercando di coinvolgerle attivamente nel processo decisionale e favorendo l’azione collettiva per affrontare e smantellare le strutture oppressive.

A tal fine è importante aiutare gli individui a comprendere le strutture sociali, economiche e politiche che contribuiscono alla loro oppressione, promuovendo una visione critica della realtà. Il nostro intento non è quello di lasciare che tale approccio rimanga limitato al “sapere professionale”, ma ci impegniamo a lavorare sul “saper fare” anti-oppressivo, individuando metodologie di lavoro e pratiche professionali concrete che aiutino l’operatore ad applicare quotidianamente i concetti esposti.

(…) Per questo motivo, elenchiamo di seguito i principali spunti teorici che abbiamo identificato come fondamentali per un intervento antioppressivo nel lavoro sociale:
1. sottoporre ad attenta analisi il tema del potere esercitato dai professionisti nella relazione con gli utenti, soprattutto in relazione ad uno degli impegni principali, ovvero perseguire la giustizia sociale e rispettare i diritti umani.

2. Riconoscere la natura strutturale dei problemi sociali e individuali, ovvero che la struttura sociale ed economica di una società condiziona le esperienze individuali, i corsi di vita delle persone, nonché la modalità con cui viene esercitato il controllo sociale nella relazione tra operatori e utenti.

3. Sottoporre a critica le pratiche professionali che si fondano sulla individualizzazione dei problemi riconducendo fenomeni sociali come la povertà a colpe dei singoli e non come esiti di ingiustizie e disuguaglianze.

4. Focalizzare e approfondire il tema di quali saperi si deve impadronire un operatore sociale per sviluppare pratiche di giustizia sociale che facilitino l’autodeterminazione delle persone, valorizzando le conoscenze e le esperienze delle comunità marginalizzate.

5. Analizzare le molteplici forme di oppressione che si intersecano nella vita delle persone adottando un approccio intersezionale.

6. Promuovere un processo di sviluppo della conoscenza che sia aperto e democratico, favorendo il coinvolgimento attivo di quei gruppi sociali che sono oggetto delle politiche di controllo ma non hanno “voce” sia nella produzione di saperi su di loro sia nella definizione delle politiche.

7. Diventare consapevoli del processo di medicalizzazione della devianza, che ha preso piede e si è imposto nelle pratiche professionali degli ultimi 20 anni e sottoporlo a critica utilizzando le spiegazioni offerte dall’antropologia, la sociologia e la storia.”

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