ADOLESCENZA E PANDEMIA: UN LIBRO SULLE CONSEGUENZE NEGATIVE TRA I GIOVANI

data di pubblicazione:

1 Ottobre 2022

Gioventù rubata è il nuovo libro di Gustavo Pietropolli Charmet – edito da Rizzoli – che si concentra su come la pandemia ha inciso negativamente sulla vita degli adolescenti. L’emergenza sanitaria ha messo in disparte i giovani, in certi momenti quasi dimenticati, e questo ha creato delle sofferenze che a distanza di mesi si sono dimostrate molto più ampie di quelle preventivate dagli adulti. 

Nell’intervista rilasciata sul sito di VITA, l’autore sostiene che la rabbia e la frustrazione dimostrata dai giovani in questo periodo hanno origine  nel fatto che non è stato detto loro cosa realmente stava accadendo. La realtà post pandemica si è scontrata frontalmente con i racconti che sentivano prima del 2020, dove gli era stato promesso un tipo di vita diversa, con un futuro garantito davanti a loro e la delusione è stata enorme.
Per troppi mesi gli sono stati tolti gli strumenti utile alla crescita personale e di gruppo, e forse neppure gli adulti che da anni lavorano con i giovani si sono accorti di quanto fosse importante la scuola come elemento identitario.
Tolta la scuola e rinchiusi dentro casa con un computer come unico strumento di relazione, tanti “appigli” sono venuti a mancare e all’improvviso i giovani sono diventati “musoni, untori, fuggitivi e imbroglioni”, ma tutto questo non era vero.
Troppi adulti non si sono accorti che i giovani stavano soffrendo per la situazione in cui si erano ritrovati e lo manifestavano con le modalità tipiche dell’adolescenza, ma le origine di questa sofferenza stavolta erano diverse.
Secondo Pietropolli “Per gli adolescenti il danno provocato dal Covid non è una questione di salute ma di manomissione della progettazione della vita. Dobbiamo riconoscere che il problema non è la Dad in sé ma la delusione, cioè il fatto che nessuno abbia mai aiutato questi adolescenti a elaborare il tema della sconfitta, dell’abbandono e anzi c’è stata una congiura educativa per evitare che l’adolescente entrasse in contatto con il tema della malattia, della solitudine, della morte. Questo è il tema centrale, il fatto che i padri non hanno insegnato l’educazione alla morte”.
Un altro problema rilevato da Charmet non è stato tanto “rinchiudere” i giovani in casa con i loro familiari, ma bensì privarli di stare fuori casa. All’esterno gli adolescenti acquisiscono quelle competenze fondamentali per la loro crescita e sviluppo personale, dove si costruiscono le proprie identità sociali e sessuali.  Quindi  “(…) non è l’essere rimasti di più in famiglia ad aver provocato il disagio. Il disagio è provocato dall’essere chiusi dentro, dal non poter andare fuori. Chiusi dentro col corpo e col computer, in particolare. Inevitabilmente è su questi due oggetti che si è avventato “il recluso”.
Attacca e denigra il proprio corpo e sul computer si dedica allo sviluppo delle relazioni virtuali. L’attacco al corpo che è una delle grandi risorse della sofferenza adolescenziale, perché trasforma la sofferenza mentale in sofferenza fisica: fare ammalare il corpo invece della mente”.
L’autore conclude con la speranza che ora si ritorni a parlare sinceramente con i giovani, che gli si dica cosa concretamente si vuole fare per cambiare le cose e che la relazione, mancata per troppi mesi, torni ad essere protagonista: “Non quella didattica né quella affettiva ma quella relazione interpersonale fondata su scambi di reciprocità e intersoggettività fondati sul valore della soggettività”.

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