FRANCO BASAGLIA A 100 ANNI DALLA NASCITA

la produzione scientifica di Basaglia è molto ricca, e si caratterizza per la critica della psichiatria istituzionale a partire dalle esperienze di Gorizia e Trieste, fino alla riforma del 1978

Franco Basaglia è padre ispiratore della l. 180/1978, che dispone la chiusura degli ospedali psichiatrici e l'apertura di centri ambulatoriali e di strutture intermedie per portare la salute mentale sul territorio

data di pubblicazione:

11 Marzo 2024

In questi giorni, la figura di Franco Basaglia è al centro di articoli che ricordano il più famoso psichiatra italiano del ‘900, di cui ricorre il 100 anniversario della nascita. Ispiratore della legge di riforma della psichiatria del 1978, Basaglia è considerato in maniera quasi unanime una figura rivoluzionaria e innovatrice da un punto di vista sia teorico che pratico.

Le sue esperienze di conduzione degli ospedali psichiatrici di Gorizia e Trieste negli anni ’60 e ‘70 hanno aperto una fondamentale stagione di critica all’istituzione manicomiale e aperto una stagione di riforma e di cambiamento nella gestione sociale della follia/malattia psichica. Poco prima della prematura morte avvenuta nel 1980, Basaglia vedrà approvata la l. 180/1978, conosciuta anche sotto il suo nome, che dispone la chiusura degli ospedali psichiatrici e l’apertura di centri di salute mentale sul territorio.

Riportiamo di seguito ampi stralci della sua biografia dall’Enciclopedia Treccani: “Conseguita nel 1957 la libera docenza nella disciplina, nel 1959 si trasferì alla direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Questa destinazione, rispetto alla prospettiva di una carriera universitaria, poteva assumere il sapore di un abbandono, condizionato dai limiti che aveva incontrato. Segnò invece una tappa importantissima nell’itinerario di evoluzione del suo pensiero. Il B., divenuto direttore del nosocomio senza aver precedentemente maturato un’esperienza diretta di lavoro negli ospedali psichiatrici, non tardò ad esprimere la sua reazione di rifiuto di quella realtà.

Identificò certi ordinamenti, regole e consuetudini manicomiali come strumenti della violenza istituzionale, coercitiva e autoritaria, nella quale riconosceva un meccanismo segregante e un significato classista. Individuò in quel sistema e nei suoi metodi di cura la causa prima dell’istituzionalizzazione del malato e l’ostacolo ad un intervento che fosse invece adeguato ai bisogni che la malattia mentale esprime.

A Gorizia il B. accese la lotta contro il ricovero asilare lavorando contro l’istituzionalizzazione dell’intero ospedale, dei medici, degli infermieri e dei malati. La sua opera impose alcune misure: l’eliminazione dei mezzi di contenzione meccanica, la ripresa dei contatti con l’esterno, l’abbattimento delle barriere fisiche, recuperando l’antico concetto dell’open door. Introdusse un più largo uso degli psicofarmaci e curò la riqualificazione teorica e umana del personale. Questi interventi furono certamente anticipatori rispetto al generale panorama della psichiatria italiana e portarono alla costituzione di una prima comunità terapeutica sulla quale si concentrarono in quel periodo le energie del Basaglia.

Le nuove esperienze di Gorizia accesero presto discussioni in ambito psichiatrico, fecero conoscere la figura del B. e richiamarono l’attenzione dell’opinione pubblica anche al di fuori dei ristretti circoli specialistici. Il B. raccolse intorno a sé un gruppo di psichiatri in sintonia con le sue posizioni, tra i quali A. Pirella, G. Jervis, A. Slavich, D. Casagrande, che furono suoi validi collaboratori. Fu di grande importanza anche l’aiuto della moglie, Franca Ongaro, che ebbe una parte di rilievo nello sviluppo delle sue attività e del suo pensiero. Gli anni di Gorizia furono un periodo di oneroso impegno non solo sul fronte interno, ma anche sul piano della diffusione e della divulgazione delle idee negli ambiti più vasti. A fronte di netti contrasti con gran parte della psichiatria ufficiale, il gruppo di Gorizia seppe acquisire infatti ampi consensi, dentro e fuori l’ambito specialistico, e seppe porsi come punto di riferimento per la psichiatria d’opposizione che acquistava spazio sia negli ospedali sia nelle università.

Fu dunque nell’esperienza di Gorizia che prese corpo la dimensione più originale del pensiero del Basaglia. Non gli sfuggirono certamente idee e fermenti innovatori che investivano la psichiatria europea proprio in quegli anni e che davano vita anche ai primi movimenti di opposizione interna alla psichiatria. Egli conobbe le posizioni di R. Laing, di D. Cooper, di T. Szasz, tuttavia rispetto al movimento di antipsichiatria anglosassone, egli si pose fino dall’inizio con una sua originale collocazione.

Con il lavoro a Gorizia e a Trieste poi, e con l’incessante attività di sostegno anche politico di queste idee, egli diede energico impulso ai movimenti di opposizione psichiatrica. Nel suo ospedale rovesciò il ritmo istituzionale e aggredì le premesse di una realtà che, a suo parere, identificava il concetto di malattia con quello di esclusione e di emarginazione. Prese posizione contro l’impostazione di una psichiatria attenta esclusivamente al modello medico-scientifico e avviò la battaglia per la distruzione del sistema manicomiale; attaccò gli strumenti di segregazione e di coercizione responsabili, negli ospedali, dei più importanti danni ai pazienti; affrontò la questione dell’isolamento e della reclusione che aggravavano gli aspetti della malattia e ostacolavano la riabilitazione. 

(…) Nella seconda metà degli anni Sessanta la posizione del B. si era consolidata e la sua esperienza accendeva nuove forze e suscitava nuovi interessi. I suoi allievi cominciavano a raggiungere nuove sedi e le sue idee si diffondevano trovando sostenitori e ospitalità in molti ambienti. Del resto, il momento socio-politico nazionale offriva spazi adatti per discutere in termini nuovi i temi dell’esclusione e dell’emarginazione del malato di mente e per proporre riflessioni sul dovere dello Stato sociale verso questi problemi.

Nel 1968, nel momento di più forte impegno, il B. lasciò Gorizia; sostenne che “bisognava allora incominciare ad uscire dall’istituzione, in un’azione pratica la cui attuazione a Gorizia, nel clima di difficoltà e di ristrettezza economica e psicologica in cui si era costretti a muoversi, avrebbe richiesto anni di attesa” (…)

Nel 1971 assunse la direzione dell’ospedale psichiatrico di Trieste, dove riprese e riorganizzò i temi della sua lotta antistituzionale. Il periodo triestino fu segnato dal lavoro per portare la psichiatria fuori dall’istituto, per rompere la barriera tra l’interno e l’esterno dell’ospedale; avviò il graduale smantellamento dell’istituto e organizzò il servizio esterno basandolo sul coinvolgimento dell’ambiente sociale e del contesto politico. Nel 1973 il B. fondò, insieme con un piccolo gruppo di operatori psichiatrici, il movimento di Psichiatria democratica che l’anno successivo tenne a Gorizia il suo primo convegno.

A Psichiatria democratica, nata come risposta organizzativa alle esperienze pratiche, alle riflessioni teoriche e alle occasioni politiche che nel decennio precedente si erano via via costituite in Italia come alternativa alla psichiatria ufficiale, aderirono molti operatori (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali), ma anche familiari di malati e rappresentanti della cultura, della politica e delle organizzazioni sindacali.

A partire dalla metà degli anni Sessanta, la produzione scientifica del B. fu rivolta quasi esclusivamente verso temi di psichiatria istituzionale e testimoniò degli sforzi e delle energie profusi dalla psichiatria d’opposizione in Italia a partire dall’esperienza di Gorizia fino alla riforma del 1978. Vi si ritrovano i connotati del movimento culturale che, rispetto alle analoghe correnti europee e americane, presentava una duplice caratteristica: agiva in un paese segnato da un certo ritardo nello sviluppo sociale e appariva chiaramente politicizzato. Il B. e il gruppo dei suoi più stretti collaboratori produssero, in pochi anni, un rilevante numero di articoli e di volumi destinati a imporsi all’attenzione di vasti strati dell’opinione pubblica.

Nel 1967 fu pubblicato Che cos’è la psichiatria?, a cura dell’amministrazione provinciale di Parma (seconda ediz., Torino 1973), raccolta di documenti e contributi di vari autori, articolata intorno al dibattito che avvenne nell’incontro tra il personale dell’ospedale di Gorizia e quello dell’ospedale di Colorno (Parma) nel 1966. Il volume confermò le posizioni del B. contro certe pretese della psichiatria scientifica e contro l’impostazione tradizionale dell’assistenza asilare per affermare l’inutilità degli interventi tecnici che non fossero accompagnati da rinnovamenti strutturali. Discusse a fondo il ruolo del lavoro psichiatrico nelle diverse figure del medico, dell’infermiere e del malato, propugnando il superamento dell’ideologia custodialistica.

In L’istituzione negata (Torino 1968) il B. riprese i temi del rifiuto di fronte alle ambiguità della scienza e della funzione politica della psichiatria; sosteneva la necessità di portare la battaglia antistituzionale fuori della sfera psichiatrica, oltre le pretese di neutralità della scienza, per ampliare la critica alle altre strutture sociali. I due volumi ebbero larga diffusione e fecero conoscere più ampiamente le linee sostanziali del suo pensiero.

Nel 1968 curò l’edizione italiana del libro di E. Goffman Asylums (Torino), uno dei testi più innovatori nella critica alle istituzioni discriminanti; ne scrisse l’introduzione, insieme con F. Ongaro, traduttrice dell’opera. Il lavoro del Goffman gli permise di riprendere il tema delle sfaccettature degli aspetti sociali della malattia e quello dell’ideologia scientifica come alibi e maschera della violenza operata nelle istituzioni per “persone socialmente indesiderate”. Nella lettura del Goffman appariva chiaro come l’immagine del malato in manicomio non fosse il risultato della malattia, ma mostrasse le stesse caratteristiche e gli stessi aspetti dei reclusi in altre istituzioni, anche non psichiatriche (carceri, case di riposo, ecc.). L’anno seguente, sempre in collaborazione con la Ongaro, pubblicò l’introduzione a Morire di classe, libro fotografico di C. Cerati e G. Berengo Gardin (Torino 1969), sulle condizioni asilari.

Nel 1968 aveva curato la Relazione alla Commissione di studio per l’aggiornamento delle vigenti norme sulle costruzioni ospedaliere, per il ministero della Sanità (ora in Scritti, II, pp. 14-32). Il problema dei rapporti tra l’esclusione psichiatrica e quella carceraria è analizzato in alcuni articoli, tra i quali Psichiatria e giustizia, relazione al I convegno nazionale di Psichiatria democratica (Gorizia 1974), che apparve in La pratica della follia (ora in Scritti, II, pp. 222-236). Interessante è il lavoro Crimini di pace, scritto in collaborazione con la Ongaro, saggio introduttivo al volume Crimini di pace. Ricerche sull’intellettuale e il tecnico come addetti all’oppressione, Torino 1975 (ora in Scritti, II, pp. 237-338), che offre tra l’altro un confronto con le posizioni di R. Laing e J. P. Sartre.

Nel 1971 pubblicò il volume La maggioranza deviante (Torino 1971) in collaborazione con la Ongaro (ora in Scritti, II, pp. 155-184). Scrisse ancora alcune prefazioni: al volume di M. L. Marsigli, La marchesa e i demoniDiario di un manicomio, Milano 1973, e al volume di R. Castel, Lo psicanalismo, Torino 1975, che riteneva il lavoro più serio di critica alla psicanalisi e al suo significato in rapporto alla struttura sociale.

Nel 1978 si giunse in Italia alla riforma della legislazione psichiatrica, in un clima sociale e politico animato da particolari fermenti che sostenevano esigenze di rinnovamento in diversi settori della vita sociale. Il movimento antipsichiatrico ebbe gran parte nel processo che indusse il Parlamento ad approvare la legge 13 maggio 1978, n. 180, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Nella identificazione popolare la legge 180 venne spesso definita “legge Basaglia”; del resto egli, nonostante le riserve, non rifiutò questa paternità.

Questa legge fu elaborata da una commissione parlamentare, dopo aver ascoltato qualificati rappresentanti della disciplina, compreso il Basaglia. Si può dire che la formulazione definitiva della legge raccolse elementi importanti del pensiero del B., ma non ne fu espressione completa: disponeva la chiusura degli ospedali psichiatrici insieme col divieto di aprirne di nuovi; spostava il cardine dell’intervento psichiatrico dagli ospedali al territorio con la creazione di una rete di centri ambulatoriali e di strutture intermedie; istituiva dei piccoli servizi psichiatrici di diagnosi e cura all’interno degli ospedali generali. Il B. si riconosceva negli articoli che decretavano la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma metteva in guardia dalle contraddizioni del provvedimento”.

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