EROINA, IMMIGRATI E CARCERE (SECONDA PARTE)

data di pubblicazione:

21 Febbraio 2018

tossiciSalvatore Giancane, medico psichiatra del Ser.D di Bologna, continua sul blog della Società Italiana Tossicodipendenze (SITD), la sua ricca analisi dei cambiamenti, dall’inizio degli anni ’90 a oggi, della popolazione tossicodipendente da eroina, affrontando in parallelo la riorganizzazione dei servizi pubblici. Giancane ripercorre le tappe che lo hanno portato, nel 1996, dopo una visita ai servizi di riduzione del danno olandesi, a proporre a Bologna una delle prime unità mobili italiane per la cura dei soggetti con problemi da dipendenza da eroina.La situazione a Bologna nnella seconda metà degli anni ’90 era piuttosto difficile per tossicodipendenti stranieri e italiani non residenti: “Nel 1998 a Bologna si registrarono 43 decessi per overdose da eroina. Di questi, 22 (51,1%) a carico di italiani non residenti, 2 (4,7%) a carico  di immigrati mentre 19 (44,2%) riguardavano bolognesi, di gran lunga la popolazione prevalente. Una dimostrazione evidente di esposizione ad un rischio maggiore, senza alcun bisogno di effettuare raffinate analisi statistiche. Benchè esposte ad un rischio maggiore, queste persone non avevano accesso ai servizi di cura”. E’ per rispondere ai bisogni inevasi di cura di questa popolazione ad alta marginalità sociale che Giancane realizza, nel proprio Ser.T, un’unità mobile concepita sulla base dei programmi e delle linee guida sviluppate in Olanda.

“La scelta di un ambulatorio mobile riconosceva ragioni precise e fu una scelta vincente:

  1. impedire gli assembramenti di una popolazione multiproblematica: le formate duravano al massimo un’ora, l’utenza veniva frammentata e quindi non si formavano gruppi  che tendevano a trattenersi. In ogni caso, anche se si formavano dei piccoli gruppetti, questi di dissolvevano quando l’ambulatorio ripartiva;
  2. aumentare le probabilità di accesso al servizio: l’utenza che ci accingevamo a prendere in carico era assai mobile per definizione e nella maggior parte dei casi non disponeva di un posto fisso dove dormire. Effettuare più fermate nel territorio cittadino ad orari diversi aumentava le probabilità che queste persone assumessero la terapia;
  3. possibilità di aggiungere o eliminare fermate in base alle necessità: l’ambulatorio mobile consentiva una grande flessibilità e la possibilità di adeguamento delle fermate al mutare della situazione.

L’idea era quella di effettuare il servizio tutti i giorni dell’anno, 365 su 365, incluse le grandi festività e per questo occorrevano due mezzi. L’ultimo accorgimento irrinunciabile, poi, furono i criteri di scelta delle fermate:

  • con parcheggio sempre disponibile;
  • in punti della città con bassa densità di residenti e di attività produttive, ma non isolati;
  • facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici;
  • al di fuori delle zone di spaccio ma facilmente raggiungibili da queste.

La scelta dell’ambulatorio mobile ed i criteri adottati per le fermate hanno consentito all’Unità Mobile di somministrare metadone in strada a migliaia di persone per circa un ventennio senza problemi rilevanti di compatibilità ambientale ed ordine pubblico. L’Unità Mobile non ha mai fatto notizia in cronaca nera e ciò era esattamente quello che volevo”.

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