NARCOMAFIE ED IMPRESE OPERANTI NEI MERCATI LEGALI

data di pubblicazione:

8 Giugno 2022

Con il passare del tempo, diventa per molti aspetti sempre più evidente come le organizzazioni mafiose che, fra le altre cose, controllano i traffici di droghe illegali, adottino comportamenti, logiche di funzionamento e codici operativi sovrapponibili a quelli aziendali. Se è vero che le organizzazioni mafiose si distinguono dalle imprese economiche legali per il loro sistematico ricorso a modus operandi illegali, in primis l’uso della violenza, è pur sempre vero che l’evoluzione delle mafie nei vari continenti segue sempre più logiche di profitto modellate sulle relazioni di mercato. Un interessante articolo di Bertrand Monnet, professore alla Edhec su Le Monde del 22/05/2022, tradotto in italiano sul sito di Aduc, rileva alcune analogie di fondo nei comportamenti fra i cartelli della droga e le multinazionali operanti sui mercati economici legali. La tesi di fondo di Monnet è chiara: “Violenza selvaggia e organizzazione sofisticata, codici di condotta medievali e costante adattamento alle ultime tecnologie…: decifrare la realtà di una mafia può sembrare complesso. Se non per osservarne la natura profonda, per capire che una mafia è, prima di tutto, un’impresa criminale che importa negli affari illeciti le pratiche messe in atto dalle società legali per creare ricchezza.”

Nell’articolo Monnet argomenta i motivi per i quali vi è un mimetismo crescente tra mafie e imprese operanti nel mercato legale. Ad esempio, a livello organizzativo ogni impresa mafiosa adotta strutture flessibili, che possono essere di tipo piramidale o più decentrate, ma che comunque prevedono la coesistenza di relazioni fluide e di controllo centralizzato tra attori criminali. Un altro elemento di funzionamento simile fra imprese legali e mafie attiene a un aspetto chiave come la gestione della filiera: “Produzione – trasformazione – esportazione – vendita: per spostarsi dal sud della Colombia ai porti di Rotterdam o Genova, le centinaia di tonnellate di cocaina vendute nel mondo dai cartelli messicani seguono lo stesso tipo di catena economica e logistica di una cassa di banane o di un contenitore di componenti elettronici.

Come per tutte le organizzazioni complesse, anche per le mafie è fondamentale operare una selezione accurata delle proprie risorse umane: “L’anno scorso ho perso cinque uomini. Ma ci sono sempre nuovi arrivati che vogliono far parte del cartello”. Kalashnikov alla mano, circondato da una dozzina dei suoi uomini armati, questo leader di settore del cartello di Sinaloa sa che per portare avanti un’impresa, servono prima di tutto gli uomini. Attratti da redditi spesso fuori portata per loro nell’economia legale, i candidati mafiosi non mancano. Resta da selezionarli: “Passiamo i giovani al “pettine dei pidocchi”, una selezione serrata, effettuata dagli anziani negli anni, nelle carceri e per strada. E manteniamo quelli buoni. Quelli che sono violenti, ma anche calmi e intelligenti. Altrimenti, il PCC sarebbe pieno di milioni di idioti”, spiega il dirigente di questa organizzazione a San Paolo. Una volta reclutato, il membro di una mafia obbedisce a una gerarchia più o meno elaborata, ma sempre rigida, e la sua progressione può essere lunga.
Ci vogliono quindi diversi anni prima che uno yakuza si sottragga allo status di jun-kosei-in (apprendista) e salga i sei strati gerarchici di un clan, con una minima possibilità di diventare kumicho (capo della famiglia). Ma un’azienda mafiosa sa premiare e trattenere la propria forza lavoro: in una piazza di Napoli (luogo dove si vende la droga) gli stipendi di un camorrista variano da 2.000 euro al mese per un giovane spacciatore di cannabis a 5.000 euro per un spacciatore di cocaina, e fino a 200.000 euro per chi riesce a diventare market manager: una scala salariale paragonabile a quella dei trader che operano nelle trading room delle grandi banche di investimento a Londra, Singapore o New York…

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