In questi giorni, a seguito del provvedimento di chiusura amministrativo della discoteca Cocoricò disposto dal prefetto di Rimini, vi sono state numerose e contrastenti reazioni e prese di posizione, fra le quali si segnalano quelle di Severgnini e di Cippitelli. Fra i favorevoli alla chiusura, Beppe Severgnini sul Corriere della Sera, argomenta come sia necessaria una nuova cultura del controllo al fine di arginare l’abuso di spaccio e di consumi “drogati”. Per Severgnini prevenzione e campagne di sensibilizzazione non bastano: occorre intensificare la repressione. “I piagnistei dei gestori dei locali notturni li conosciamo bene: noi tentiamo! Noi controlliamo! Noi interveniamo! Cosa possiamo fare se i ragazzini bevono fino a rischiare il coma etilico e s’impasticcano? Se le ragazzine si prostituiscono per una banconota? Se giovanissimi italiani e coetanei immigrati si picchiano come ebeti nei parcheggi, tirandosi calci e bottiglie? Si potrebbe rispondere ai virginali disco-imprenditori: quanti minorenni con la vodka nel bicchiere avete allontanato? Quanti controlli avete condotto, quante pastiglie avete sequestrato? Quante denunce sono partite da voi, utili a identificare gli spacciatori? La verità, come spesso capita, è banale. Le discoteche, come gli stadi di calcio, sono diventati luoghi extraterritoriali. Posti dove sono consentiti comportamenti che, altrove, porterebbero a una denuncia o a un arresto. I luoghi dello sballo sono diventati discariche sociali che fingiamo di non vedere. Papà e mamme preferiscono non sapere. Finché un giorno capiscono — magari dopo una telefonata notturna dei carabinieri — che là dentro ci stanno i propri figli e i propri nipoti. E rischiano di non tornare a casa. Nessuno vuole «criminalizzare l’industria del divertimento», come recita il coro (interessato) dei professionisti del ramo. Ma qualcuno — la maggioranza degli italiani, almeno — vorrebbe evitare che quest’industria ospiti, tolleri e incoraggi comportamenti criminali. L’educazione e la prevenzione, evocate dalla politica in queste ore, non bastano. Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione. Parola sgradevole, ma inevitabile. La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia.”
Di opposto parere Claudio Cippitelli, storico rappresentante della coop. Parsec di Roma, fra le realtà italiane più note della riduzione del danno. Per Cippitelli non vi è nessuna emergenza legata all’ecstasy e al consumo di droghe nelle discoteche italiane, dato che il fenomeno è presente da più di vent’anni. Ciò che nel frattempo è peggiorato è da una parte l’offerta dei servizi di prevenzione e di riduzione del danno, e dall’altra il fatto che la normativa italiana non si è adeguata ai cambiamenti dei consumi di sostanze e degli stili di vita giovanili. “No, non siamo di fronte ad un allarme sociale e i luoghi dello sballo non sono diventati «discariche sociali che fingiamo di non vedere», come scrive l’ineffabile Severgnini sul Corriere del 4 agosto. Le autentiche discariche sociali, semmai, sono diventati troppi quartieri periferici da cui provengono i ragazzi che affollano eventi del ballo notturno, sia commerciali sia autorganizzati. Se davvero si volesse ragionare intorno alla morte di Lamberto, non con un approccio morale ma di sanità pubblica (quello che spetta a uno stato laico), dovremmo chiederci: perché in Italia non si autorizza l’analisi delle sostanze (pill test) nei luoghi di consumo, come avviene in molti paesi europei? Resta una considerazione. Nel momento in cui il nostro Paese apre un dibattito su una nuova regolazione in merito ai cannabinoidi, anche in seguito ad una proposta firmata da 218 parlamentari che prevede la legalizzazione di tali sostanze, la stampa sembra di nuovo interessarsi al tema. Peccato che, prima la vicenda quanto mai fantasiosa della cannabis “corretta” con il metadone, l’amnesia (che si sta rivelando almeno sospetta), poi la tragica vicenda del Cocoricò, invece di contribuire nella società ad una riflessione sui consumi di sostanze psicotrope, sembrano essere utilizzate, spregiudicatamente, per sfornare il solito repertorio proibizionista e punizionista“.