Sul sito Agenda digitale.it si affronta in modo approfondito il tema dei videogiochi e delle micro transazioni che i giocatori possono effettuare durante le loro sessioni di gioco. Se una buona parte dei giocatori è rappresentata da minori questa relazione va osservata quindi molto da vicino. Ma cosa si intende per micro transazioni nei videogiochi o nelle app? “Per micro transazioni si intendono tutti gli acquisti effettuati con moneta reale, direttamente all’interno del gioco. E’ importante notare che non si tratta quindi di acquisti effettuati tramite monete virtuali interne al gioco stesso, bensì di vero denaro scambiato con moneta virtuale (ad esempio, 10€ per 1000 crediti di gioco). Lo scopo di queste piccole transazioni, è solitamente quello di sbloccare funzionalità, oggetti o semplici elementi estetici interni al gioco”.
Le aziende produttrici di videogiochi le utilizzano per aumentare le loro entrate economiche e sono diventate parte integrante dei meccanismi di gioco. Se le critiche dei videogiocatori si concentrano soprattutto sul fatto che questo meccanismo stravolge le meccaniche del gioco, meno attenzione viene rivolta alla possibilità che in questo modo si sviluppino problemi legate al gambling, soprattutto quando le micro transazioni riguardano l’acquisto di loot boxes.
Queste sono casse premio che “(…) contengono oggetti di gioco casuali, qualche volta rari, più spesso comuni. Si tratta ovviamente di oggetti virtuali, come ad esempio armi, vestiti o equipaggiamento da utilizzare all’interno del gioco, ed in nessun modo esistente nel mondo reale. Un recente studio australiano[1] ha dimostrato come ci sia una evidente relazione tra l’uso di loot boxes, e lo sviluppo di problemi legati al gioco d’azzardo: più i giocatori spendono in loot boxes, più i problemi di gambling appaiono gravi”.
L’analogia con i classici giochi d’azzardo risulta evidente, visto che alla base c’è lo stesso “meccanismo di rinforzo”, ma il problema che viene sottolineato è il fatto che i maggiori fruitori di questi giochi sono i minorenni, una fascia più fragile rispetto a certi meccanismi e quindi più soggetta a incorrere in problematiche legate alla dipendenza.
Queste transazioni sono spesso di piccola entità e quindi sono percepite in modo poco pericoloso da chi le effettua, ma è proprio nella ripetizione di questi acquisti che si concentrano i maggiori rischi.
L’autore dell’articolo per evidenziare questi rischi e rendere maggiormente nota questa problematica, ancora poco conosciuta, ha analizzato ricerche e studi internazionali che si sono confrontati in modo approfondito con questa problematica. Una problematica complessa, che rende difficile “(…) individuare le differenze tra il gioco d’azzardo e altre forme di intrattenimento digitale come i “classici” videogiochi”, tanto che alcuno Stati hanno messo al bando le loot boxes.
Inoltre l’introduzione di questi meccanismi ha cambiato il tipo di utenza che si confronta con i videogiochi: se “(…) fino ad alcuni anni fa, giocare ad un videogame richiedeva l’acquisto di una consolle/computer, del videogioco stesso oltre che l’eventuale connessione internet a consumo per sfruttare la modalità multi-giocatore, oggi per giocare ad un videogame basta un cellulare connesso ad internet. Per questa ed altre ragioni sociali e tecnologiche (che per necessità di sintesi non approfondiremo), i casual gamer rappresentano oggi la fetta principale di mercato”. Una fetta di mercato sempre più ampia che ha modelli di comportamento rispetto al gioco molto diversi dagli hardcore gamer[4]” e di cui va tenuto conto.
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