COVID-19 E PRESUNTE VIOLENZE NEL CARCERE DI S. MARIA CAPUA VETERE

data di pubblicazione:

3 Luglio 2021

A distanza di oltre un anno dai fatti contestati, avvenuti in pieno primo lockdown da Covid-19, il Gip di Santa Maria Capua Vetere, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte violenze avvenute nel carcere del Comune campano del 6 aprile 2020, ha formulato varie ipotesi di reato a 52 fra agenti penitenziari e funzionari. Fra le accuse contestate, alcune sono molto gravi: torture e lesioni personali pluriaggravate, maltrattamenti pluriaggravati, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. Scrive Il Fatto Quotidiano: “La custodia cautelare in carcere è stata disposta per un ispettore coordinatore del Reparto Nilo e sette agenti della polizia penitenziaria, tutti in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, mentre sono agli arresti domiciliari 18 persone tra cui il comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano, il comandante dirigente della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, la commissaria capo responsabile del Reparto Nilo, un sostituto commissario, tre ispettori coordinatori di sorveglianza generale e 11 agenti. Ci sono poi tre obblighi di dimora, nei riguardi di tre ispettori di polizia penitenziaria, e 23 misure di sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio nei confronti della comandante del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria del nucleo regionale di Napoli, del provveditore regionale delle carceri della Campania Antonio Fullone e 21 agenti della polizia penitenziaria, quasi tutti in servizio nel carcere. Per la procura, inoltre, sarebbero stati manomessi 5 spezzoni dei filmati dell’impianto di videosorveglianza per giustificare le presunte violenze.

Lo scorso aprile, durante le proteste, nel carcere furono inviati da Napoli contingenti dei reparti speciali della Penitenziaria. La successiva inchiesta è stata avviata a seguito delle denunce, da parte di alcuni detenuti, di violenze avvenute nei loro confronti come “punizione” per la rivolta. Stando alle testimonianze dei familiari, alcuni sono stati denudati e poi picchiati, insultati, colpiti con i manganelli. Costretti a radersi barba e capelli e poi minacciati e sbattuti in isolamento. A giugno 2020 oltre 40 agenti della polizia penitenziaria erano stati raggiunti da avvisi di garanzia in quanto indagati per reati di tortura, violenza privata e abuso di autorità ai danni dei detenuti. La notifica degli avvisi da parte dei carabinieri aveva provocato polemiche per la modalità d’esecuzione: alcuni poliziotti erano saliti sui tetti dell’istituto penitenziario per protestare.

Il ministero della Giustizia ha fatto sapere di seguire con “preoccupazione” gli sviluppi dell’inchiesta. “La ministra Marta Cartabia, e i vertici del Dap – sottolinea una nota di via Arenula – rinnovano la fiducia nel corpo della Polizia Penitenziaria, restando in attesa di un pronto accertamento dei gravi fatti contestati”.

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