Farmaci psichedelici e salute mentale

la terapia psichedelica è oggetto di molto studi scientifici

Da anni Lsd, Mdma, psilocibina e dimetiltriptamina (Dmt) sono oggetto di studi scientifici per capire il loro potenziale curativo nel trattamento di alcuni disturbi psichiatrici, come depressione, ansia, sindrome da stress post traumatico (Ptsd) e alcolismo.

data di pubblicazione:

22 Giugno 2025

Le sostanze psichedeliche e il loro rinnovato interesse a scopo di cura. E’ questo il tema dell’intervista a Stefano Comai, professore di farmacologia all’Università di Padova disponibile sul sito di IlBolive.

Da anni Lsd, Mdma, psilocibina e dimetiltriptamina (Dmt) sono oggetto di studi scientifici per capire il loro potenziale curativo nel trattamento di alcuni disturbi psichiatrici, come depressione, ansia, sindrome da stress post traumatico (Ptsd) e alcolismo.

Un rinnovato interesse della comunità scientifica che secondo Comai è dovuto in parte “(…) alla persistente mancanza di farmaci efficaci per una parte significativa dei pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Nel caso della depressione, ad esempio, molti antidepressivi tradizionali richiedono settimane per mostrare effetti e funzionano solo in una parte della popolazione, lasciando un gran numero di pazienti senza un trattamento adeguato. Inoltre, gli effetti collaterali di questi farmaci possono essere significativi, portando molti a sospendere la terapia”.

Per ovviare a questi problemi gli studi si stanno orientando anche all’utilizzo della Ketamina. Sostanza che riesce “(…) ad indurre stati alterati della coscienza e allucinazioni, anche se attraverso un meccanismo d’azione differente rispetto ad altre sostanze psicoattive.

Gli psichedelici classici agiscono principalmente sul sistema della serotonina (un neurotrasmettitore spesso associato al benessere e alla regolazione dell’umore), la ketamina agisce sul recettore del glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello. A partire dagli anni 2000, è emerso un interesse crescente per l’uso di questa sostanza nel trattamento di quelle forme di depressione che non rispondono ai farmaci antidepressivi tradizionali.

Studi clinici hanno mostrato che, in molti pazienti, la ketamina può produrre un effetto antidepressivo rapido, con un miglioramento clinico visibile già dopo poche ore dalla somministrazione. Questa evidenza ha portato allo sviluppo di una variante della ketamina, l’esketamina, approvata in Italia e in altri paesi. L’esketamina viene somministrata per via nasale, facilitando l’impiego clinico rispetto alla somministrazione endovenosa”.

Ma come funziona la terapia psichedelica? Comai spiega che è come provare un vero e proprio trip psichedelico, un’esperienza che cambia profondamente la percezione della realtà e che risulta essere molto soggettiva. Esperienza quindi che non dipende solo dal tipo di sostanza assunta, ma anche dal contesto di assunzione e dalle aspettative personali.

Se la maggior parte delle persone ricorda questa esperienza come positiva, per evitare che questa si trasformi in negativa (bad trip) è necessario prendere precauzioni. Per questo la terapia deve essere effettuata in un contesto medico.

“Come nei trial clinici in corso oggi, l’assunzione di psichedelici avviene sempre in un setting controllato, con un protocollo ben preciso e che l’uso terapeutico di queste molecole è sempre accompagnato dalla psicoterapia: non si tratta solo di prendere la sostanza, c’è un vero e proprio percorso strutturato, con una prima fase di preparazione, in cui uno psicoterapeuta formato incontra il paziente, per accompagnarlo lungo tutto il percorso, una fase di somministrazione della sostanza, in cui il terapeuta aiuta a gestire ciò che emerge durante il trip e una fase di integrazione, che consiste in incontri successivi che permettono alla persona di rielaborare l’esperienza”.

Per Comai la terapia sarebbe ancora più efficace se la ricerca sviluppasse nuove molecole in grado di agire sugli stessi meccanismi dei classici psichedelici, senza indurre allucinazioni.

Ma per ora gli studi clinici in questo campo risentono ancora di alcune criticità, quali periodi troppo brevi di sperimentazione e gruppi di pazienti troppo esigui per esempio. In qualche modo si sta pagando l’interruzione della ricerca iniziata negli USA negli anni Cinquanta e interrotta bruscamente nei primi anni Settanta del secolo scorso, ai tempi della “war on drugs. 

 

 

 

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