Genitori e disturbi del comportamento alimentare

il ruolo dei genitori diventa fondamentale nei percorsi di cura

Comprendere quali comportamenti del proprio figlio sono legati alla malattia e quali invece riguardano il suo modo più tipico di funzionare è fondamentale: un adolescente rimane un adolescente, ha il suo bisogno di ribellione, di contrasto, di identificazione

data di pubblicazione:

4 Aprile 2025

Cosa prova un genitore di fronte ad un problema di disturbo alimentare del figlio o della figlia, e cosa può fare? A questa domanda prova a rispondere un articolo leggibile sul sito di IPSICO. I Disturbi del comportamento alimentare hanno ripercussioni negative importanti sia a livelli psicologico che fisico, portando in casi estremi anche alla morte.

Per questo motivo possono scatenare forti emozioni nei genitori, soprattutto quando vedono i loro figli adolescenti ricevere una diagnosi di Disturbo alimentare (DA).

Esistono diversi studi e alcuni programmi di “Parent Training, che riconoscono l’importanza del ruolo dei familiari nei percorsi di cura e sostegno dei figli malati, ma spesso questi vengono sottovalutati. Secondo l’articolo invece i genitori vanno sostenuti nel loro ruolo di cura dei figli, facendosi però contemporaneamente carico anche delle loro sofferenze.

Per fare questo risulta importante aiutare la famiglia a ridurre il carico di stress, migliorando le strategie comunicative e facendola sentire meno isolata e più supportata. Questo significa innanzi tutto comprendere i comportamenti dei figli.

“Comprendere quali comportamenti del proprio figlio sono legati alla malattia e quali invece riguardano il suo modo più tipico di funzionare è fondamentale: un adolescente rimane un adolescente, ha il suo bisogno di ribellione, di contrasto, di identificazione”.

L’altro aspetto che un genitore deve tenere in considerazione sono la lettura delle proprie emozioni. ” È altrettanto indispensabile imparare a riconoscere cosa si attiva in noi davanti al comportamento di nostro figlio. Diventare degli esploratori di noi stessi, capire di fronte a cosa mi arrabbio, di fronte a cosa mi impaurisco. Tracciare una vera e propria analisi di noi stessi ci rende più consapevoli e quindi capaci di direzionare in modo più utile le nostre risorse”.

Come ultimo elemento va compresa la relazione che abbiamo con i figli che hanno questa problematica. Tra le diverse domande che un genitore deve farsi è capire quali sono le motivazioni che lo spingono ad attivarsi, quale è lo scopo della relazioni con il figlio o la figlia che lo spingono a comportarsi in un determinato modo.

Sebbene tutte le motivazioni sono valide “(…) è opportuno sottolineare che quando il genitore diventa di supporto alla terapia la sua motivazione verso i sintomi (e quindi non verso il figlio, ma verso il passeggero del figlio ovvero il disturbo alimentare) una delle motivazioni più funzionali ed efficaci è quella a collaborare.

Allearci con lui, chiedere la sua opinione, cercare di capire come si sente, raccontare cosa vediamo noi e quali sono i nostri consigli sono tutte azioni e atteggiamenti che ci aiutano nel nostro ruolo. Anche per nostro figlio, che è già impegnato nella lotta interna contro il suo passeggero, è importante la relazione con noi: offrirgli la possibilità di leggere la nostra mente, fargli sentire che siamo parte del suo team di supporto e stare in contatto con la motivazione a collaborare sono elementi che la letteratura evidenzia come capaci di fare la differenza”.

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