Il Dr. Giuseppe Montefrancesco, sul sito Insostanza, commenta la diffusione di crack in Italia. Si tratta di una sostanza conosciuta da decenni nel nostro paese, e il cui uso è segnalato in netto aumento negli ultimi anni. Montefrancesco sottolinea in particolare come sia importante uscire dagli stereotipi che associano il crack alle persone povere e marginali.
“La presenza nel mercato illegale in Italia è nota da tempo e secondo i dati della Direzione centrale dei servizi antidroga dal 2019 ad oggi c’è stato un raddoppio dei sequestri, con un aumento costante negli anni. Non si tratta di tonnellate ma è evidente che ad una maggior numero di sequestri corrisponde un maggior consumo e i sequestri, lo sappiamo, rappresentano solo una parte minima della sostanza che circola realmente.
Nel 2021 quasi la metà delle denunce per reati droga correlati, parliamo del 44,5%, ha riguardato la detenzione di cocaina e crack. Cocaina e crack rappresentano il consumo primario per oltre la metà dei poveri consumatori che finiscono in carcere ed anche per la maggior parte delle persone accolte nelle strutture per la cura delle dipendenze; ma questa è solo la parte visibile del fenomeno perché quella problematica.
Il crack costa molto meno di altre sostanze e la sua diffusione segue di pari passo quella della povertà ma attenzione allo stereotipo che collega direttamente una delle droghe più consumate a persone giudicate problematiche oppure alla ricerca dello sballo. In realtà il fenomeno è complesso e sfaccettato mentre l’attenzione, però purtroppo, si concentra sull’uso visibile di strada.
L’uso più diffuso invece è quello che potremmo definire domestico; parliamo di persone che non hanno particolari problemi e il cui profilo non è direttamente sovrapponibile ai cliché del drogato.
E’ indubbio che ci sia una correlazione tra integrazione sociale, condizioni socioeconomiche, vita di strada e uso di crack, ma è necessario uscire dal luogo comune che dipinge l’utilizzatore come un individuo malato e incapace di vivere in modo sano, come dire un deviante da reprimere, da curare magari anche contro la sua volontà.
E’ indispensabile invece comprendere i meccanismi che spingono all’assunzione e il loro intreccio ed è paradossale la scarsa informazione sulla sostanza, sul suo uso soprattutto se messa in relazione con la sua grande diffusione.
Oggi il consumo di crack riguarda una popolazione trasversale per età, per classe sociale, culture, etnie, genere; lo usano persone legate al mondo della strada ma anche chi frequenta locali, bar, luoghi del divertimento, insomma come potremmo dire, un insieme di stili di vita fluido all’interno dei quali la sostanza può avere un ruolo più o meno centrale.
La domanda che bisognerebbe porsi è perché proprio il crack ?
Perché può rimanere una questione privata, perché può essere assunto dove e quando si vuole, senza usare degli aghi per esempio, o almeno inizialmente, anche pensando di poter smettere quando si vuole.
Di rado il crack viene utilizzato da solo, è molto più diffuso il policonsumo per esempio con l’alcol perché l’unione delle due sostanze aumenta la durata dell’esperienza e smorza gli effetti ansiogeni dopo il flash; in altri termini per gestire la fase down che può diventare spiacevole i consumatori assumono alcol, assumono oppiacei e cannabinoidi, benzodiazepine, ketamina.
Esistono molti modi di utilizzo non riconducibili alla sola dipendenza se pure il rischio che la sostanza assuma un ruolo primario nella vita delle persone comunque è alto.
Il concetto stesso di uso problematico andrebbe adattato ad ogni singolo caso.
Se un uso controllato e saltuario può essere solo sostenibile, l’utilizzo continuativo può generare gravi effetti sulla vita della persona e per comprendere il condizionamento mentale, anche se viene indotto dalla sostanza, occorre considerare il craving cioè la fortissima necessità di assumere la sostanza quando l’effetto comincia a calare che nel caso del crack è rilevante.
Altra questione di non poco conto è che molti utilizzatori per vari motivi non si rivolgono ai servizi per le dipendenze anche se stava attraversando un periodo critico ma in questo modo rischiano di rimanere soli nell’affrontare situazioni complesse.
In questo senso i Centri a bassa soglia, le realtà legate alla riduzione del danno svolgono una funzione fondamentale perché possono agganciare e sostenere le persone che in un ambiente non legato agli obblighi del rapporto medico-paziente possono più facilmente esprimere le loro necessità.
E’ fondamentale dunque cambiare l’approccio politico al fenomeno.
L’allarmismo è nemico di un’informazione corretta e puntuale, ostacola le persone che vorrebbero chiedere sostegno se ne avvertono la necessità.
La risposta delle istituzioni continua invece ad oscillare tra l’indifferenza, la repressione e un approccio medico che riduce l’utilizzatore ad un malato e non considera le ragioni profonde che lo portano poi all’uso di sostanze.
Quello che serve sono politiche pragmatiche basate sulle evidenze che tengano conto dei contesti dell’evoluzione del fenomeno.
Politiche che possono trovare soluzioni efficaci e capaci di rispondere alle reali necessità delle persone.”