Psicofarmaci sempre più usati nelle carceri italiane

in particolare gli antipsicotici sono utilizzati in maniera massiccia

In particolare sono somministrati "(...) antipsicotici, il 60% del totale, prescrivibili per gravi patologie come il disturbo bipolare e la schizofrenia e utilizzati cinque volte in più rispetto all'esterno". Un elemento, quello del consumo elevato di questi psicofarmaci, emerso dall'analisi delle forniture di farmaci in 15 strutture detentive italiane tra il 2018 e la fine del 2022.

data di pubblicazione:

1 Novembre 2023

Dai dati in possesso della rivista Altreconomia, in Italia nel 2022 sono stati spesi due milioni di euro in psicofarmaci destinati alle strutture detentive. Strutture che, secondo Michele Miravalle, coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone, curano il disagio al suo interno con una soluzione immediata e semplice, quella farmacologica.
In particolare sono somministrati “(…) antipsicotici, il 60% del totale, prescrivibili per gravi patologie come il disturbo bipolare e la schizofrenia e utilizzati cinque volte in più rispetto all’esterno”.
Un elemento, quello del consumo elevato di questi psicofarmaci, emerso dall’analisi delle forniture di farmaci in 15 strutture detentive italiane tra il 2018 e la fine del 2022.
Il problema, secondo Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Azienda Sanitaria di Modena, è che la percentuale di diagnosi psichiatriche gravi è meno del 10% sul totale dei detenuti. Quindi ne deduce Starace “(…) Questa spesa così elevata potrebbe essere in parte determinata dal tentativo di evitare una somministrazione più ampia di ansiolitici, come le benzodiazepine, che danno luogo più frequentemente ad abuso e dipendenza“. In questo modo, sempre secondo il direttore, “(…) si perseguirebbe in modo inappropriato un obiettivo di controllo”.
Rispetto ai consumi, questi aumenti non sono uguali per tutte le strutture prese in considerazione, e molto dipende dalle relazioni in atto nel contesto territoriale, che possono di volta in volta offrire alternative alle terapie farmacologiche. Non solo, anche il periodo di permanenza in carcere sembra influire sulla quantità di consumo degli antipsicotici.
Ma la cosa che risulta più evidente è la differenza tra i livelli di spesa interni alle strutture in confronto a quelli della popolazione esterna, che in media risultano cinque volte più alti.
Antigone ha ottenuto questo risultato incrociando i dati tra i consumi pro-capite in carcere e i dati contenuti nel Rapporto dall’Aifa (Agenzia Italina del farmaco) del 2021 sulla popolazione in generale. L’origine di questa disparità, secondo Miravalle, risiede nella creazione di due entità indipendenti in ambito carcerario, quella dell’area sanitaria e quella della sicurezza, avvenuta con la riforma della sanità penitenziaria del 2010.
“Non ci sono intenzioni malvage da parte degli operatori sanitari”, dice Miravalle, è chiaro che le richieste di farmaci vengono anche dagli stessi detenuti, oltre che dagli agenti, per cui gli antipsicotici alla fine diventano funzionali a creare sezioni “pacificate”.
Inoltre va tenuto conto che anche lo stesso concetto di disagio psichiatrico nel tempo è cambiato e di conseguenza anche l’utilizzo di psicofarmaci. Sempre di più “(…) un disagio che nasce in realtà dalla tensione e dalle difficoltà di vita all’interno degli istituti e dalle esperienze di vita pregresse dei detenuti”.
In questo contesto le Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza non sono sufficienti per accogliere tutte le persone che stavano in precedenza negli OPG e allo stesso tempo il carcere stenta a dare risposte adeguate al cosiddetto disagio psichico in aumento.
Secondo Miravalle servirebbe quindi più “(…) trasparenze e maggior consapevolezza sullo stato della salute mentale delle nostre carceri”.

 

Altreconomia. Mensile di informazione indipendente, numero 263 – ottobre 2023

  

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