Gli anziani over 65 anni rappresentano una delle fasce d’età più a rischio di sviluppare forme di dipendenza e problemi collegati al gioco d’azzardo, anche perché i giocatori a rischio anziani spesso presentano altri fattori di vulnerabilità. Un ampio articolo del settimanale Internazionale affronta il tema provando ad approfondire aspetti in genere poco sviluppati: dalle poche esperienze disponibili dal punto di vista terapeutico ad alcune storie di vita e di gioco, alle problematiche specifiche presenti rispetto al gioco in questa fascia d’età. Per comprendere il fenomeno, è necessario partire dalla popolazione di riferimento: “In Italia una persona su quattro di più di 65 anni ha giocato d’azzardo almeno una volta nella vita, e il 16 per cento lo fa con una frequenza almeno mensile. Sono i dati riportati dall’Osservatorio gioco d’azzardo 2021 di Nomisma: il gioco è un’abitudine consolidata da oltre dieci anni per sei giocatori su dieci, e il 12 per cento ha sviluppato un approccio problematico. Nel 2018 l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha condotto un’indagine su un campione di più di dodicimila persone: è emerso che gli anziani giocano più frequentemente al gratta e vinci, ma sviluppano dipendenze in particolare con le slot machine, le videolottery e le scommesse sportive. Spesso per giocare si recano in luoghi fisici come il bar, la tabaccheria o il casinò, che diventano per loro anche spazi di aggregazione, mentre è più difficile che diventino dipendenti dai giochi online, anche per la scarsa conoscenza degli strumenti digitali. In termini quantitativi, il 3 per cento della popolazione italiana ha un approccio problematico al gioco, per un totale di più di un milione e mezzo di persone: considerando solo la fascia dai 65 ai 79 anni, la percentuale scende al 2,3 per cento, e arriva allo 0,4 per cento negli ultraottantenni. “Questi numeri vanno interpretati con cautela”, spiega Claudia Mortali, ricercatrice dell’Iss che si è occupata dello studio. “È vero che ci sono meno anziani che giocano, ma quelli che lo fanno perdono più soldi e presentano anche altre fragilità: economiche, sanitarie, psichiche, sociali, relazionali. Pensiamo agli anziani affetti da morbo di Parkinson, che assumono farmaci dopaminergici: tra gli effetti collaterali c’è la disinibizione degli impulsi, che fa sì che alcuni sviluppino una dipendenza da gioco proprio quando cominciano la terapia”.
Un rilevante problema discusso dall’articolo è la mancanza di indagini affidabili sulla dipendenza da gioco negli anziani e la conseguente mancanza di progetti di contrasto e terapie specifici per questa fascia d’età. “Dal 2012, con il decreto Balduzzi, la dipendenza dal gioco d’azzardo è stata riconosciuta come una patologia in carico al servizio sanitario nazionale, e oggi è inserita tra le dipendenze trattate dai Livelli essenziali di assistenza (Lea). Nel 2016, poi, è stato istituito il Fondo statale per il gioco d’azzardo patologico, del valore di 50 milioni di euro l’anno, ripartito tra le regioni e le province autonome per realizzare attività di prevenzione, cura e riabilitazione. Nel 2019 è nato anche un Osservatorio presso il ministero della salute, e l’Iss ha attivato il Telefono verde nazionale e la piattaforma Uscire dal gioco. Quello che ancora manca però sono programmi di recupero modellati sull’età dei partecipanti: “Per gli anziani dipendenti servirebbero azioni ad hoc per contrastare la solitudine e l’isolamento”, commenta Beatrice Longoni. “Oggi un anziano raramente si rivolge al Serdp (il servizio per le dipendenze, ndr), perché associa quel luogo alle droghe pesanti e a situazioni di grave emarginazione in cui non si riconosce”. Per cogliere precocemente i segnali della dipendenza, sarebbe poi necessario attivare una rete territoriale composta da associazioni, medici di base, case della salute, patronati e servizi sociali. “Il panorama è diverso da regione a regione: spesso i servizi per le dipendenze non dialogano con quelli per gli anziani non autosufficienti, né con quelli per la salute mentale”, spiega Claudia Mortali dell’Iss. “Bisogna potenziare lo scambio tra diversi settori e professionisti, per andare verso una presa in carico integrata”. Alla base, comunque, manca una conoscenza esaustiva del fenomeno, perché non ci sono sufficienti ricerche che forniscano dati aggiornati: “Il gioco d’azzardo negli anziani è ancora poco studiato, e le indagini sono spesso orientate all’interesse di chi le commissiona”, afferma Roberto Pozzoli, presidente dell’associazione Vinciamo il gioco. “Il fenomeno rimane sommerso: spesso gli anziani non ammettono di avere un problema, o perché non se ne rendono conto, o perché si vergognano: lo stigma è forte, il giocatore non è visto come una vittima ma come uno stupido che butta via i soldi”.
(…) Un primo studio effettuato su 370 giocatori mostra che, con il passare degli anni, il coinvolgimento nel gioco e le distorsioni cognitive associate al gambling aumentano, mentre non diminuisce la propensione al rischio. “Con distorsioni cognitive indichiamo una serie di modalità disfunzionali di ragionamento, per cui una persona ritiene di poter influenzare con il proprio comportamento gli esiti del gioco: pensiamo a chi tira il dado più forte per ottenere un numero più alto”, spiega la ricercatrice Maria Ciccarelli, che ha lavorato allo studio. “Queste distorsioni aumentano con l’avanzare dell’età: non è vero che con il passare degli anni le persone tendono a giocare di meno, anzi”. Oggi il gruppo di ricerca dell’università Vanvitelli sta realizzando nuovi studi che prendono in considerazione le capacità decisionali dei giocatori, il chasing, ossia l’attitudine a rincorrere le perdite, e i bias attentivi, in particolare la velocità con cui si intercettano gli stimoli di gioco. In Italia, i fondi europei non hanno un grande impatto per il contrasto della dipendenza da gioco negli anziani. Il Pnrr non si occupa del tema: nelle missioni 5 e 6 prevede interventi e investimenti per gli anziani, ma si concentra sulla non autosufficienza. Anche i fondi legati alla politica di coesione (il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo) molto raramente finanziano progetti per supportare i giocatori patologici, e in nessun caso si rivolgono specificamente agli anziani. Il tema, comunque, è molto specifico e per questo non è annoverato tra le linee di intervento della politica di coesione europea, che ha l’obiettivo generale di ridurre le differenze tra i territori e contrastare le disuguaglianze. Secondo i dati del portale OpenCoesione aggiornati al 31 agosto 2022, in Italia ci sono stati solo due progetti di contrasto del gioco d’azzardo sostenuti da questi fondi nel periodo 2014-2020: un corso di gestione economica per prevenire la dipendenza da gioco, organizzato da una cooperativa sociale in provincia di Udine e finanziato con quattromila euro, e un centro diurno e residenziale per giocatori patologici a Bella, un piccolo paese nell’Appennino lucano, che ha ricevuto 339mila euro.”