DIPENDENZE E SERVIZI IN ITALIA: PUNTI DI FORZA, PROBLEMI APERTI E INCOGNITE

lI sistema di cura delle dipendenze da sostanze é tuttora costruito a partire da un paradigma emergenziale

Il sotto-finanziamento dei servizi e del personale in Italia rischia di ridurre l'efficacia dei programmi e la capacità di intercettare i fenomeni.

data di pubblicazione:

24 Marzo 2023

A partire da alcuni spunti contenuti in un editoriale del New York Times, che sostanzialmente registra il fallimento della guerra alla droga decennale negli USA e constata un diverso indirizzo della presidenza Biden, più focalizzato sul piano socio-sanitario che sulla repressione, Riccardo Gatti riflette sulla situazione dei servizi in Italia. Cercando di confrontare i sistemi di cura e di intervento italiano e statunitense sulle sostanze illegali, Gatti pone in evidenza i punti di forza e le problematiche di fondo che stanno affrontando i servizi in Italia. In particolare, si mette in luce come il sotto-finanziamento dei servizi e del personale in Italia rischi di ridurre l’efficacia dei programmi e la capacità di intercettare i fenomeni. Altro problema annoso è il fatto che il sistema di cura delle dipendenze da sostanze sia tuttora costruito a partire da un paradigma emergenzialeScrive Gatti: “Rimane aperto, negli USA ed in Italia, il discorso di ciò che significa “riduzione del danno” che, purtroppo, anziché diventare uno strumento del curare e del prendersi cura attraverso una strategia complessa finalizzata alla salute, diventa troppo spesso solo un concetto, una serie di iniziative singole e molto limitate ed un simbolo utile per scontri ideologici che impediscono ulteriori approfondimenti.
Vista la situazione drammatica, negli USA si auspicano maggiori iniziative di “riduzione del danno”, soprattutto come strumento per ridurre le overdose mortali ma, anche da noi, esistono persone che usano sostanze, ne sono dipendenti e non hanno intenzione di cambiare il loro stile di vita. Cosa fare con loro, per la loro salute e per limitare le conseguenze delle loro scelte, a parte cercare di motivarli alla cura, rimane un problema aperto.
Senz’altro condividiamo con gli USA un altro problema: “There are not enough programs or trained medical professionals to treat substance-use disorders”, non ci sono abbastanza programmi o professionisti sanitari, preparati per trattare i disturbi da uso di sostanze. Il nostro vantaggio, rispetto agli Stati Uniti, essendo collegato alla accessibilità ed alla diffusione del Sistema Pubblico dei Servizi Dipendenze, è grande, ma si sta progressivamente riducendo.  Tutto il settore pubblico è in difficoltà: i medici specialisti in molti ambiti, sono pochi rispetto alla necessità ed una specialità in medicina delle dipendenze non esiste. Quando un posto in un SERD diventa vacante, trovare un medico già formato che sappia curare le dipendenze è sempre più difficile, spesso impossibile. Egualmente questo accade anche per altre professionalità, per cui una formazione specifica non esiste.  E’ una delle conseguenze di aver affrontato il tema dell’uso di droghe come una emergenza, o come una epidemia che, trovato il giusto “vaccino”, si sarebbe estinta.
Concludendo: l’evidenza ci sta dicendo, e gli Stati Uniti sono un esempio, che pensare di risolvere i problemi le conseguenze ed i costi individuali e sociali, connessi all’uso di sostanze, attraverso la guerra alle droghe, intesa come azione repressiva, non ha successo. Senza un sistema di prevenzione, cura ed assistenza efficiente la situazione può farsi drammatica e, per lungo tempo, difficilmente reversibile. Il nostro vantaggio rispetto ad altri Paesi collegato inizialmente ad un miglior bilanciamento tra le risorse collegate alla cura e quelle legate alla repressione, si sta riducendo parallelamente alle difficoltà che investono il Sistema Sanitario Pubblico nel suo complesso, ma con qualche significativa difficoltà in più. Qui siamo, e cosa succederà dopo dipende da noi. Spero che la decisione non sia quella di “tirare avanti”, come si può, in attesa di una nuova emergenza che ci costringa, a forza, a cambiare rotta. (…) Trovare un nemico e fargli guerra o trasferire il tutto allo scontro politico su posizioni semplicistiche che già si conosce che non troveranno consenso, sono modi per non pensare a tutto ciò. Il cambiamento, quando ci riguarda,  genera ansia perché muta equilibri consolidati, anche di tipo economico e di potere. Per questo la tendenza naturale è di lasciare le cose come sono, anche a costo di arrivare ad una catastrofe. Negli Stati Uniti è già successo. Teniamolo presente.

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