IN MYANMAR RIPRENDE LA PRODUZIONE DI OPPIO

LA RELAZIONE DELL'UFFICIO DELLE NAZIONE UNITE UNODC

Il crollo economico, della sicurezza e della governance seguiti alla presa militare del potere hanno portato gli agricoltori delle aree remote, spesso soggette a conflitti, come lo Shan settentrionale e gli stati di confine, a non avere altra scelta che tornare all’oppio.

data di pubblicazione:

19 Marzo 2023

Nel 2022 sono stati coltivati 10.000 ettari in più di piante da oppio rispetto all’anno precedente e l’eradicazione delle piante sembra essere diminuita del 70% su base annua. Questi alcuni numeri che fotografano la situazione attuale in Myanmar, un paese che si trova in quello che veniva definito nel secolo scorso il Triangolo d’Oro per la produzione mondiale dell’oppio e che viene descritta dal rappresentante regionale dell’Unodc, Jeremy Douglas in un articolo sul quotidiano Il manifesto.

“Il crollo economico, della sicurezza e della governance seguiti alla presa militare del potere hanno portato gli agricoltori delle aree remote, spesso soggette a conflitti, come lo Shan settentrionale e gli stati di confine, a non avere altra scelta che tornare all’oppio.” Solo in questo stato, che rappresenta da solo l’84% dell’area totale stimata coltivata a papavero, la produzione è quasi raddoppiata, attestandosi sulle 670 tonnellate circa.
Dagli anni 2000 la produzione di oppio nell’area del Triangolo d’Oro era diminuita e si era trasferita in Afganistan, che diventò il principale produttore di oppio mondiale.
Secondo Antonio Maria Costa, allora a capo dell’agenzia internazionale Unodc le ragioni di questo cambiamento vanno addebitate ad alcune scelte politiche:  “(…) La Thailandia con un preciso impegno praticamente azzerò le coltivazioni. Si ridussero anche in Laos per la forte presenza militare e un regime che si è imposto sulle popolazioni contadine locali. Lo stesso in Myanmar, dove le coltivazioni non sono nelle zone di maggior ricchezza dal punto di vista della produttività agricola, ma principalmente nelle aree dell’est del Paese con una forte predominanza cinese. Un’area oggi di insorti e milizie individuali, dove la malavita, in parte organizzata e in parte spontanea, è molto forte. Ecco perché, da quando è caduto il governo di Aung San Suu Kyi che godeva di un certo rispetto, dopo il calo c’è stata una ripresa”.
L’isolamento internazionale in cui si trova oggi il paese potrebbe aver spinto i militari a sostenere malavita e corruzione. Sempre Costa sottolinea che “(…) Iil Myanmar oggi è boicottato, non commercia, non produce, l’opinione pubblica e anche la popolazione più semplice reagisce alla giunta. La necessità di reperire fondi potrebbe quindi far accettare ai militari le coltivazioni, visto che loro ne prendono una parte.”

 

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