Perché persiste un grande ritardo, da parte dei professionisti e dei servizi di cura per le dipendenze, nell’affrontare la questione di genere nelle dipendenze da sostanze, che ha storicamente penalizzato e continua a penalizzare le donne? Se è vero, come scrive Riccardo Gatti, medico psichiatra e responsabile del Dipartimento Dipendenze Patologiche della ASL città di Milano, che “in passato, la tossicodipendenza e l’uso di sostanze a scopo non terapeutico, era studiata sia negli uomini (soprattutto), che nelle donne, da una prospettiva maschile”, come è possibile sviluppare oggi interventi di cura che valorizzino le specificità biologiche, sociali e culturali delle donne? Secondo Gatti, è da almeno 30 anni che la questione è stata posta, ma pochi sono stati i passi in avanti nello sviluppo di un approccio di genere nell’affrontare le specificità dei disturbi da uso di sostanze nelle donne. “E’ comune, tra operatori del settore di cura considerare che le donne che arrivano alla loro attenzione sono meno degli uomini ma, quando si rivolgono ad un Servizio, non di rado, presentano condizioni più “complicate” e difficili da trattare. E’ perché, effettivamente, le donne che usano droghe (illecite e lecite!) sono meno degli uomini, oppure perché i Servizi di cura sono “impostati” per dare risposte più adatte a problemi specifici ed ai consumi di sostanze, tipici della popolazione maschile? (…) Già nel 2006, l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (OEDT), presentando la Relazione annuale sull’evoluzione del fenomeno della droga in Europa, affermava che “i servizi terapeutici in tutta Europa stanno prendendo coscienza del fatto che le donne con problemi di droga hanno esigenze particolari che richiedono interventi speciali”. Sono passati molti anni, siamo nel 2023, ma i servizi terapeutici ed anche gli “interventi speciali” destinati esclusivamente alle donne rimangono rari. Rimane valida l’affermazione dell’allora Direttore dell’OEDT, Wolfgang Götz: “sono trascorsi più di 20 anni da quando i governi europei hanno chiesto di prestare attenzione alle problematiche legate al genere nel campo della droga. Oggi, un riconoscimento generale dell’importanza di questo problema deve ancora riflettersi in una prassi comune”. Purtroppo, ora, sono ormai 36, gli anni passati dalla richiesta dei governi europei che forse, oltre agli auspici, non sono riusciti a promuovere iniziative in questo senso, in modo più solido e fattivo.
Probabilmente il tutto è legato anche a ciò che citava Fabrizio Faggiano, a conclusione di una monografia Differenze di genere nello studio VEdeTTE del 2007 (che qualcuno … ricorderà), sulla necessità di –tenere debitamente in conto delle caratteristiche specifiche e differenziate dello sviluppo psicologico e sociale femminile, sia rispetto alle singole pazienti che alla nostra cultura scientifica, che non è altro che una rappresentazione sociale collettiva caratterizzata da una “..unilateralità ipertrofica maschile patriarcale…” (E. Neumann: “La psicologia femminile”, 1953). Volutamente si sono citati riferimenti ormai datati, per far capire, che non ci troviamo di fronte ad una nuova emergenza, ma a problematiche da tempo evidenziate che, per ragioni diverse, non hanno ancora avuto l’approfondimento che meritano e risposte concrete, strutturate nel tempo. Il tutto è anche legato a come, negli anni, è stato affrontata la questione dell’uso di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico. In pratica la storia degli interventi e delle attivazioni di settore (anche dal punto di vista politico e programmatorio) è sempre stata connessa con emergenze successive, soprattutto relative alle droghe illecite, anche se è certo che, anche attualmente, i maggiori danni per la salute ed i maggiori costi sociali conseguenti, sono legati alle droghe lecite, come alcol e tabacco. L’emergenza è un buon attivatore, ma spesso lascia più spazio al fare che al pensare cosa fare ed alla valutazione del risultato effettivo dell’azione, spesso mirata più a risolvere la contingenza che ad interrogarsi per affrontarne le cause. Pensare che le nostre azioni di settore, possano arrivare a piena maturità, senza affrontare le questione degli interventi di genere, in modo strutturato e di sistema, anche con nuove proposte che abbiano a che fare con l’offerta di prossimità, di cura e con i percorsi riabilitativi, sarebbe un errore, proprio perché oggi abbiamo maturato la conoscenza e l’esperienza per poterlo fare.
Probabilmente siamo, per ragioni diverse, tutti in difficoltà, visto la situazione generale davvero complicata che stiamo attraversando e che ci accompagnerà per tempi non brevi, ma, proprio per questo motivo, non possiamo dimenticare ciò che ormai sappiamo da tempo: in passato, la tossicodipendenza e l’uso di sostanze a scopo non terapeutico, era studiata sia negli uomini (soprattutto), che nelle donne, da una prospettiva maschile. Oggi dobbiamo muoverci nella direzione di creare una offerta più adatta alle diverse esigenze di genere. In parte questo avviene già, perché da sempre i programmi dei nostri Servizi sono, per definizione, individualizzati, ma c’è ancora molto da fare per rimodulare il nostro sistema di intervento, per studiare e proporre una offerta differenziata, correttamente dimensionata, con i setting adeguati, e facendola conoscere per promuoverne l’accessibilità.”