NEUROSCIENZE, SOSTANZE E AUTO-REGOLAZIONE

data di pubblicazione:

31 Gennaio 2022

Su Fuoriluogo, un confronto tra Henry Margaron e Stefano Vecchio affronta il tema del paradigma neuro-biologico verso l’abuso di sostanze e in particolare di cannabis. Secondo Margaron, i risultati ottenuto da questo paradigma proverebbero che la relazione con le droghe modella di continuo il cervello, interagendo con il set e il setting sulla base delle esperienze. Scrive Margaron: “Le immagini del cervello esibite come prove delle lesioni provocate dalle droghe, in realtà sono il risultato del modellamento del cervello ed hanno quindi solamente un significato funzionale. La dipendenza è la condizione in cui una persona ripetendo le esperienze in cui prova un miglioramento significativo delle sue condizioni, ha modellato il suo cervello per acquisire certe competenze e perderne altre. È per questo motivo che il rischio di dipendenza non minaccia solamente il consumatore di droghe, ma anche il giocatore, l’internauta o qualsiasi persona trovi in un comportamento un sollievo ad una condizione di disagio o di frustrazione abituale.

Le droghe si rivelano pericolose nella misura in cui permettono di vivere delle esperienze che rappresentano le uniche possibilità di vivere delle relazioni serene. Quindi non è certamente proibendo la cannabis che potremo evitare la dipendenza ed aiutare i giovani a vivere più sereni, ma permettendo loro di crescere in un contesto più favorevole, meno competitivo dove possono esprimere le loro opinioni essendo rispettati e imparando a rispettare gli altri, che potremo evitare chi molti giovani debbano cercare un conforto nelle droghe, nel gioco o rifugiandosi in una realtà virtuale. Se la cannabis è spesso una droga di passaggio non dipende quindi dal fatto che altera il cervello, ma che la piccola percentuale di consumatori alla ricerca di un aiuto alle loro difficoltà relazionali, deve rivolgersi a sostanze più pesanti per ottenerlo. La condizione sine qua non per uscire della dipendenza non è l’astinenza, sebbene sia spesso indispensabile, ma la possibilità di sperimentare al più presto delle gratificanti nella vita professionale, sociale, familiare o affettiva.”

Vecchio, pur considerando valido il ragionamento di fondo espresso da Margaron, ritiene che sia viziato dal rischio di riproporre una visione morale della questione droghe: “Il cervello si modella in relazione alla complessità delle relazioni tra set e setting potremmo dire usando le parole di Zinberg. Ma dovremmo dire allora anche che la nostra relazione con le droghe modella il cervello interagendo con il set e il setting. Su questo punto osservo il rischio di una contraddizione nel discorso innovativo di Henri Margaron. Vorrei partire da questo rilievo per riproporre le sue stesse tesi alla luce dello schema di Zinberg e del dibattito che da tempo si è sviluppato intorno al modello dell’autoregolazione e dell’apprendimento sociale nella interpretazione dei modelli di uso delle droghe. Osservo che nella seconda parte dello scritto sembra che in qualche modo si riproponga il paradigma morale, rivisitandolo in una forma meno etichettante ma si continua a sostenere che la dipendenza è un rischio ed è pericolosa “nella misura in cui permette di vivere delle esperienze che rappresentano le uniche possibilità di vivere sensazioni serene”.

Leggendolo sulla base della dialettica controllo e perdita del controllo, sarebbe come dire che “la dipendenza” è pericolosa perché la persona considera la droga la sua unica strategia o interesse di vita. (…) Ora osservo: se il cervello non ha una struttura che condiziona i comportamenti e precostruisce i nostri destini, e si modella e rimodella continuamente nella relazione con i contesti e sulla base delle esperienze che si manifestano come più efficaci per ognuno di noi, con tutte le influenze culturali e politico-sociali, anche l’uso di droghe si inserisce in questo universo. Se inquadriamo questa realtà nello schema di N. Zinberg possiamo affermare che il cervello delle persone che usano droghe si modella e rimodella sulla base delle interazioni tra droga, set e setting. La dipendenza si presenta come un costrutto inadeguato e etichettante in quanto, anche se depurata del modello neurobiologico rinforza il discorso ancora diffuso che ogni uso di sostanze psicoattive è incontrollabile e pericoloso. E sappiamo che questa affermazione non corrisponde alla realtà della maggioranza delle persone che usano droghe. E, a me sembra, che la dipendenza sia un costrutto che strida con le tesi stesse di Henri Margaron

La mia sensazione è che Henri Margaron esprima concetti analoghi a quelli che ho esposto sinteticamente, ma con un linguaggio che rischia di rendere meno esplicita la ricaduta del suo discorso sulle interpretazioni del fenomeno collegate proprio con quel modello neurobiologico-patologico sottoposto alla sua critica radicale.

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