RISCHIO ALCOL NEL POST-COVID: UNA NOTA DI ISS

data di pubblicazione:

24 Dicembre 2020

In un breve testo, che segue la pubblicazione ufficiale di inizio mese, presentata al Parlamento “Consumo di alcol nel 2018: i dati della Relazione al Parlamento 2020”, ISS espone alcune difficoltà strutturali che permangono nell’individuazione e nella presa in carico delle persone con dipendenza da alcol. Difficoltà che rischiano di essere messe in ulteriore tensione nella fase post-pandemica, anche se durante l’emergenza sanitaria dei mesi scorsi si sono, in alcune situazioni, sperimentate e attivate nuove modalità d’intervento:  “La gestione dei Servizi di alcologia è oggi una competenza regionale per cui non vi è omogeneità territoriale. Nella maggior parte dei casi i Servizi di alcologia si trovano all’interno dei Dipartimenti per le Dipendenze, tuttavia in alcune realtà regionali sono collocati nei Dipartimenti di Salute Mentale. (…) Meno del 10% delle persone in need for treatment sono curati nelle strutture del SSN che fallisce nella cura e riabilitazione del 90% di quanti hanno necessità di un intervento non accessibile sottolineando la necessita di una profonda riorganizzazione funzionale e strutturale delle reti curanti che hanno il compito di evitare una evidente disuguaglianza; nei fatti la dipendenza da l’alcol resta la malattia mentale meno trattata al mondo. Poiché non esistono livelli di consumo alcolico privi di rischio, e poiché la comunità scientifica suggerisce di considerare sempre il rischio alcol-correlato come espressione di esposizione a un continuum di quantità crescenti di alcol consumate, di progressivi rischi e di danni, è importante garantire e integrare risorse per la formazione continua obbligatoria e l’integrazione nella pratica clinica quotidiana dell’identificazione precoce dei consumatori a rischio (attraverso il test AUDIT-Alcohol Use Disorders Identification Test) nei contesti di assistenza sanitaria primaria dedicati ai giovani (setting pediatrici e di assistenza primaria erogata dai medici di famiglia).

La pandemia di COVID-19 ha evidenziato la necessità di implementare le attività di consulenza, consultazione e counselling online, che si sono dimostrate utili per la riduzione dell’uso di alcol e dei sintomi depressivi, garantire una maggiore qualità della vita, la soddisfazione del paziente e la diminuzione dei costi. Allo stesso modo è necessario promuovere interventi basati sull’uso degli smartphone per aiutare professionisti e pazienti a prendere decisioni condivise mantenendo, e rafforzando, il legame medico-paziente e l’efficacia della cura. Vanno promosse le alternative al trattamento ospedaliero, la riduzione del ricorso e della durata della degenza in ospedale. Il case management dovrebbe essere fortemente organizzato e implementato per garantire la gestione ottimale di un numero elevato di pazienti con disturbi del consumo di alcol e comorbidità multiple richiedenti il trattamento multidisciplinare nel pieno rispetto di ruoli e competenze e nel riconoscimento dell’alcologia come area d’intervento a se stante.

Inoltre, gli operatori sanitari dovrebbero poter contare, anche in collaborazione con l’ISS, su una formazione obbligatoria dedicata all’identificazione precoce, agli interventi d’informazione e prevenzione nei luoghi di lavoro e nelle scuole. In particolare, nel contesto scolastico è importante sostenere azioni per il rispetto della legalità, dell’età minima di somministrazione e vendita, evitando il messaggi ambiguo del “bere responsabile”, promuovendo l’evidenza scientifica a supporto della prevenzione mirata a diffondere la cultura diffusa del consumo di alcol come da evitato almeno fino ai 25 anni, in quanto interferente con l’atteso sviluppo e la connessa rimodulazione (pruning) cerebrale danneggiata dal consumo di alcol (e sostanze psicoattive). Un danno irreversibile cui i giovani possono e devono essere sottratti.”

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