La diabulimia è un sottotipo di disturbo del comportamento alimentare identificato intorno all’anno 2009 da un gruppo di medici britannici i quali avevano rilevato come un certo numero di pazienti (prevalentemente femmine) diabetici (Diabete tipo 1, insulino-dipendente) non gestivano correttamente le dosi di insulina prescritte. Nella diabulimia i pazienti diabetici con una condotta alimentare di tipo anoressico, bulimico od ortoressico, dopo aver scoperto che l’insulina è un ormone anabolico, iniziano a gestirne l’utilizzo finalizzandolo allo scopo di perdere peso inducendo una condizione di catabolismo che ha come conseguenza la perdita di massa corporea.
Le conseguenze in acuto del sottodosaggio volontario di insulina in un paziente affetto da diabete tipo 1 sono quelle che conseguono ad una condizione di chetoacidosi, sul lungo periodo si presenteranno le complicanze tipiche del diabete mal compensato ovvero peggioramento della funzionalità renale, neuropatie, retinopatie, cardiopatie, osteoporosi e possibilità di morte improvvisa.
Ad oggi la diabulimia non è ancora riconosciuta dalla comunità psichiatrica come una patologia e non risulta inserita nella attuale 5a versione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).
Anoressia e bulimia, in primis. Ma è in crescita anche il binge eating disorder (Bed), tra i disturbi alimentari: sempre più diffusi tra i giovani.
Nel nostro Paese a soffrirne sarebbero almeno due milioni di giovani di età compresa tra 15 e 19 anni. Più colpite risultano le ragazze, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è sbilanciata nell’affermare che, tra le adolescenti, anoressia e bulimia rappresentano la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.
CAMPANELLI D’ALLARME – Di manifestazioni, più o meno evidenti, ce ne sono diverse. Tra i segnali di allarme più diffusi, gli specialisti segnalano l’adozione di regimi dietetici eccessivamente rigidi, il conteggio maniacale della chilocalorie ingerite, una sensazione di eccessiva robustezza pur in presenza di un peso normale, la tendenza ad avere comportamenti bulimici o di eliminazione per compensare un eccessivo introito di cibo. Seguono diversi cambiamenti emotivi: si va dall’irritabilità alla tristezza e al ritiro sociale.
Per aiutare genitori e insegnanti a riconoscere il disagio di un adolescente – sono in aumento le diagnosi effettuate tra gli 8 e i 12 anni -, la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza ha pubblicato una monografia interamente dedicata al difficile rapporto che molti adolescenti hanno con il cibo.
«Il problema è spesso sottostimato, soprattutto in quei fenomeni minori che costituiscono la porta di ingresso verso comportamenti patologici più chiari – afferma Piernicola Garofalo, direttore dell’unità operativa di endocrinologia dell’ospedale “Vincenzo Cervello” di Palermo -.
Oggi, sempre più spesso, i genitori mostrano minore preoccupazione per i preoccupanti comportamenti alimentari dei propri figli. Molti sono convinti che la dieta, e persino il vomito, possano rappresentare un rimedio adeguato alla gestione del peso corporeo». Tali tentativi di dimagrimento, trascurati dalle famiglie per mesi, evolvono invece sovente in veri disturbi del comportamento alimentare. Attenzione meritano anche quei ragazzi che sembrano aver messo ormai il problema alle spalle. «Anoressia, bulimia, disordini alimentari hanno un alto rischio di recidiva: ecco perché non bisogna mai convincersi di aver chiuso i conti con i disturbi del comportamento alimentare», chiosa Garofalo.
DIABULIMIA – Nel 90% dei casi i disordini di comportamento alimentare si presentano prima dei 25 anni. Questa insorgenza precoce è determinante per la comparsa di alterazioni del ciclo mestruale e di problematiche della salute riproduttiva adulta. Ma è un altro il fenomeno che, in quanto abbastanza recente, preoccupa pediatri ed endocrinologi. Dalla crasi di due termini – diabete e bulimia – gli specialisti ne hanno coniato uno nuovo: diabulimia. Si tratta di una condizione di disturbo del comportamento alimentare che si sviluppa in quegli adolescenti affetti dalla forma autoimmune del diabete, più esposti ad avere negli anni problemi nel rapporto con il cibo.