I TEST GENETICI. Conflitti possibili fra auto-determinazione e responsabilità

data di pubblicazione:

7 Ottobre 2013

geneticaL’articolo di Matteo Galletti, docente di filosofia del diritto, affronta alcune problematiche centrali di bioetica che attraversano il dibattito contemporaneo. Va premesso che tale dibattito è stimolato dalla crescente importanza assunta dai test genetici anche nel nostro paese, dove i test di genetica molecolare sono cresciuti del 30% fra 2004 e 2007. Vi sono tre tipologie di test genetici: i test diagnostici, la cui funzione è di accertare l’esistenza di determinate patologie sulla base di sintomi; i test presintomatici, eseguiti su persone che non presentano sintomi, ma il cui patrimonio genetico li rende a rischio per lo sviluppo di determinate malattie; e i test predittivi che servono a calcolare la probabilità di insorgenza di una malattia la cui origine è però multifattoriale. E’ quest’ultima tipologia di test a sollevare le maggiori discussioni da un punto di vista etico, che in generale potrebbe essere espresso come il conflitto che oppone il “diritto individuale di non sapere” al dovere e la responsabilità di essere informati verso se stessi e gli altri.

Se è corretto sostenere che questo conflitto è parte integrante della storia della medicina e del rapporto tra medico e paziente, va sottolineato come il considerevole sviluppo delle tecnologie genetiche ponga nuovi e specifici elementi al dibattito. Esemplificando le posizioni in campo, potremmo dire che al centro del conflitto etico si situano il grado e i confini di autodeterminazione riconosciuti all’individuo. Mentre vi è chi difende una concezione ampia dell’autonomia personale, tale per cui il diritto di non volere sapere informazioni cruciali ottenibili con i test genetici è preminente rispetto alla salute pubblica e al sapere medico, altri autori sostengono che il diritto all’autodeterminazione dovrebbe essere sottoposto a delle chiare limitazioni.  Per argomentare tale tesi viene in genere enfatizzato il fatto che non ci può essere reale autonomia in mancanza di informazioni pertinenti sulla propia condizione genetica. A questo argomento viene però opposta la considerazione che la scelta di non sapere deve essere rispettata come parte integrante di una concezione “forte” ed estesa di autonomia. Questa è anche la posizione di fatto dominante nei trattati e nelle raccomandazioni di politica sanitaria. Ciò premesso, appare ragionevole la sintesi fra le due posizioni effettuata dall’autore, che afferma ” (…) appare più convincente l’adozione di un modello di autonomia che protegge il diritto all’ignoranza genetica, senza tuttavia cadere nella posizione estrema secondo cui l’ignoranza è, per così dire, “ontologicamente costituiva” della scelta autonoma e della capacità di defnire il proprio sé“.  

Infine, va posto in rilievo che non si tratta di un dibattito filosofico e astratto, tenuto conto della complessità dei casi concreti in cui si rende necessario o auspicabile il ricorso ai test genetici. Vi sono da considerare anche le pressioni, provenienti ad esempio negli Stati Uniti dalle assicurazioni private e dai datori di lavoro, per limitare il diritto di rifiutare test genetici da parte dei cittadini e dei lavoratori. Nel caso il loro impiego non sia controllato e normato, le tecnologie genetiche, proprio in virtù della loro potenza predittiva, potrebbero così divenire uno strumento di controllo verso settori di popolazione, portando a discriminazioni e violazioni.

Galletti M., I test genetici. Diritti, doveri e “ignoranza genetica”. Bioetica e società, n. 1-2, 2011, pp. 79-88.

Disponibile c/o CESDA. 

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