CANNABIS SOCIAL CLUB: UNA RICERCA SU ORIGINI E DIFFUSIONE

data di pubblicazione:

14 Giugno 2022

Sul numero del mese di marzo della rivista Medicina delle Dipendenze MDD, un articolo di Mafalda Pardal e  Tom Decorte fa una sintesi dei risultati di una ricerca sui Cannabis Social Club (CSC), ed in particolare su tre aspetti chiave: nascita e diffusione dei CSC, ordinamenti giuridici a cui sono sottoposti e metodi di approvvigionamento adottati.  

I CSC nascono n Spagna nei primi anni novanta e “(…) sono associazioni formate da consumatori adulti di cannabis allo scopo di creare un sistema chiuso di (auto) approvvigionamento di cannabis e/o promuovere la riforma delle politiche sulla cannabis“. L’iniziativa è partita da un gruppo di consumatori, che ha deciso di produrre cannabis da redistribuire ad un gruppo determinato di utilizzatori “(…) testando in questo modo i limiti delle leggi applicabili (Arana & Montanes 2011)”.
Nonostante in Spagna il modello CSC non sia stato regolamentato a livello nazionale, ne esistono 800 nelle diverse regioni del paese, divenendo un modello a cui ispirarsi per la costituzione di altri social club in Europa. Nel 2006 nasce il primo CSC in Belgio, seguito da altri in 13 paesi europei, che sono stati censiti attraverso un questionario online tradotto nelle varie lingue ufficiali dell’Unione Europea.
Fuori da questa area geografica si registra in Uruguay il più alto numero di CSC, grazie alla loro legalizzazione nel 2013, che riconosce anche la coltivazione domestica  e la vendita in farmacia. In questo stato i CSC sono associazioni formali, senza scopo di lucro, iscritte in appositi registri nazionali, con statuti ufficiali e membri registrati.
In Europa Malta è recentemente diventato “(…) il primo paese a introdurre una legislazione che regola l’approvvigionamento di cannabis tramite CSC”, anche se la legge, approvata nel 2021, non è ancora stata attuata. Di fatto molti CSC, anche in assenza di un riconoscimento formale a livello nazionale o regionale, si dotano di modelli di comportamento in autonomia, basandosi sul contesto in cui si sviluppano (in termini di legislazione politica e priorità di applicazione).
Queste forme di auto – regolamentazione in alcuni casi hanno portato anche alla creazione di federazioni, strutture che hanno la funzione di rappresentare più CSC che agiscono in modo simile. L’altro aspetto indagato dalla ricerca ha riguardato i modelli di approvvigionamento della cannabis da pare dei CSC.
Tre associazioni su quattro coltivano e distribuiscono direttamente cannabis a base di erbe ai propri membri, coltivandola all’interno dell’associazione e solo in pochi casi vengono forniti prodotti sotto altra forma (hashish, olii, tinture etc…). In genere i rapporti tra iscritti e CSC  sono regolamentati da accordi scritti, in cui si delineano quali sono i metodi coltivazione, quali le varietà di cannabis coltivata e quali le concentrazioni di THC-CBD.
La qualità infatti è uno dei parametri su cui i CSC si concentrano maggiormente ed è uno dei motivi principali per cui le persone tendono ad iscriversi. Sulle modalità di distribuzione, quantità e numero di iscritti ogni CSC si organizza in modo autonomo od in base alla legislazione vigente (vedi i casi di Uruguay e Malta).
In conclusione si può affermare che, nel vuoto legislativo esistente nella maggior parte dei paesi, esistono alcune caratteristiche comuni nel modello operativo dei CSC: “(…) si affidano (principalmente) alla coltivazione in proprio, instaurano un circuito chiuso di di offerta tra i soli membri, possono organizzare anche altre attività sociali”.

Mafalda Pardal e Tom Decorte, I Cannabis Social Club e l’approvvigionamento di cannabis , Medicina delle Dipendenze, n. 45, pp. 42-45.
Rivista consultabile presso il Cesda.

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