DIPENDENZA DA VIDEOGIOCHI COME NUOVA PATOLOGIA "AUTONOMA"?

data di pubblicazione:

15 Gennaio 2022

Un articolo del sito valigia Blu propone un’interessante e dettagliata ricostruzione del dibattito scientifico attorno all’inserimento del Gaming Disorder nell’ICD11 (International Classification of Disease). Se l’Internet Gaming Disorder (IGD) è già stato inserito nel DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) da parte dell’American Psychiatric Association nel 2013, è solo nel 2018 che OMS propone di inserire il disturbo da dipendenza da videogiochi nel manuale diagnostico ICD-11, rimandando la sua attuazione nel 2022. Tuttavia, come spiegato nell’articolo, alcuni dubbi e critiche ne stanno rallentando la ratifica. Da un lato, l’insorgere della pandemia Sars-Cov-19 ha concentrato l’attenzione delle agenzie sanitarie su questo aspetto, dall’altro la comunità scientifica è tutt’altro che unanime nel ritenere opportuno l’inclusione del Gaming Disorder nell’ICD11. Il principale punto di discordia è rappresentato dalla scarsa mole di ricerche e di dati specifici sul disturbo a disposizione, nonché i dubbi relativi alla definizione del disturbo. “Tutti concordano che esistano casi di abuso di gaming, ma è davvero necessario introdurre un disturbo specifico? Al momento della proposta, inoltre, l’OMS invita la comunità scientifica a raccogliere dati intorno al problema, ma il metodo scientifico segue normalmente un corso di lavoro differente. La comunità scientifica parte da un’ipotesi su cui si raccolgono dati. Se i dati – una volta elaborati – rivelano criticità, allora in base a queste evidenze si prendono provvedimenti per salvaguardare la salute pubblica. Il meccanismo scatenato dall’OMS va invece in un’altra direzione, quella di dichiarare un allarme preventivo, chiedendo poi alla comunità scientifica di cercare conferme, non di verificare se un allarme esista davvero o quali siano i confini tra un comportamento normale ed uno problematico. Questa spinta orienta cioè le ricerche secondo un bias o pregiudizio (bias di conferma). L’OMS ha concesso alla comunità scientifica un anno per raccogliere evidenze, quando dal design di una ricerca alla pubblicazione dei risultati ne sono necessari almeno 3. È lecito a questo punto interrogarsi sul perché di questa scelta dell’OMS.

Se una parte della comunità scientifica appoggia la decisione dell’OMS, ritenendola uno stimolo alla ricerca sul problema, un’altra parte ha elencato criticità e rischi di questa scelta. La ricerca è poca e di scarsa qualità. Non c’è accordo sulla definizione del disturbo. Gli scienziati non sono concordi sui sintomi che identificano questa condizione. Non sono ancora disponibili strumenti di valutazione validati e ufficiali. Tra i numerosi rischi di una decisione affrettata figurano: accelerazione del panico morale, diagnosi prematura, modelli di ricerca fondati su bias e infine stigmatizzazione dei videogiocatori. La media dei pazienti colpiti a livello globale sarebbe intorno al 3%. Pur essendo i numeri bassi, è legittimo interrogarsi sulle cause. Considerando che quasi metà della popolazione mondiale videogioca, se le cause risiedessero nel medium sarebbe in corso una seconda pandemia. Già nel 2017, Weinstein, Przybylski e Murayama individuavano le cause del gaming problematico in una frustrazione di bisogni psicologici essenziali (competenza, autonomia, socializzazione) a livello sociale, famigliare e nel gruppo dei pari. I videogiochi offrirebbero una strategia di compensazione del disagio, ma non ne sarebbero causa diretta. Disabituare i videogiocatori al gaming senza indagare le origini del disagio, avrebbe l’effetto collaterale di spostare il problema su un altro canale di espressione successivamente.

Nel frattempo, già da anni, alcuni specialisti stavano mettendo a punto servizi di riabilitazione dedicati, con relativi protocolli di cura (nonostante i criteri diagnostici non siano tuttora definiti e condivisi) e test di valutazione, che normalmente richiedono anni per essere realizzati e validati. (…) A Maggio 2019, l’inserimento del Gaming Disorder è diventato ufficiale e l’entrata in vigore è prevista per Gennaio 2022. Passa altro tempo e a Marzo 2020 ci sono nuove sfide sanitarie da affrontare. L’OMS dichiara che è in atto una pandemia da Covid. Seguono raccomandazioni sanitarie e restrizioni sociali con un significativo impatto sulla vita della popolazione mondiale. Per rafforzare le raccomandazioni dell’OMS, una parte della game industry mette in piedi l’iniziativa #PlayAPartTogether traducibile come “fate la vostra parte insieme” e “restate insieme giocando a distanza”. L’OMS appoggia questa campagna di sensibilizzazione riconoscendo nel nuovo contesto di emergenza sanitaria il valore di socializzazione del gaming. Negli stessi giorni esce Animal Crossing: New Horizons”, videogioco di simulazione multiplayer online che riscuote in queste circostanze un successo su scala globale perché diventa uno spazio in cui incontrarsi in remoto con i propri affetti. La partecipazione dell’OMS alla campagna #PlayAPartTogether non cambia comunque la posizione dell’organizzazione rispetto al gaming disorder.

Nonostante le limitazioni sociali e negli spostamenti, nel 2020 il lavoro alacre degli scienziati prosegue anche nel settore del gaming e maturano risultati interessanti. Si comincia il 15 Giugno con l’approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo videogioco come trattamento di medicina digitale per l’ADHD in età pediatrica. Arriviamo così alla fine del 2020, quando si diffondono i risultati di una ricerca indipendente dell’Oxford Internet Institute condotta in collaborazione con due editori di videogiochi al fine di raccogliere dati oggettivi sulla salute dei videogiocatori. Più lungo era il tempo di esposizione dei videogiocatori coinvolti nella ricerca, maggiore era il loro benessere psicologico. Il tempo di esposizione ai videogiochi – tra i criteri diagnostici del gaming disorder – non sembrerebbe dunque essere un valido fattore predittivo del gaming problematico. Questi dati sono poi stati confermati da una ricerca successiva alla fine di quest’anno.

Torniamo a noi e arriviamo all’autunno 2021, quando il Prof. Przybylski che è anche ricercatore nel campo dei video games, a ottobre, cercando di comprendere le motivazioni alla base della decisione dell’OMS sul Gaming Disorder, richiede i documenti pubblici usati nel processo decisionale. Dopo un po’ di tempo, risponde il Dr. Vladimir Poznyak, capo della commissione dell’OMS su alcol, droga e dipendenze comportamentali, con queste parole: “L’ultima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD-11) raccoglie decine di migliaia di entità diagnostiche, incluse molte nuove entità o categorie diagnostiche riviste, ed è sfidante, se non impossibile, documentare e comunicare attraverso i canali dell’OMS il razionale e la giustificazione per ogni decisione”. Queste parole suscitano stupore e trasmettono il livello di confusione sull’argomento.

Pochi giorni dopo, si aggiunge alla discussione Chris Ferguson psicologo e ricercatore nel settore della psicologia dei media, condividendo un’email ricevuta nel 2016 dal Dr. Reed Geofffrey, altro membro della commissione sul Gaming Disorder dell’OMS, in cui questi ammette che l’OMS ha ricevuto pressioni soprattutto dai paesi Asiatici perché il gaming disorder fosse incluso nell’ICD11 e dunque classificato ufficialmente come malattia. Il pensiero torna alle numerose restrizioni imposte in quell’area geografica ai videogiocatori, di cui l’ultima risale all’agosto di quest’anno quando la Cina ha rafforzato la stretta sul gaming online, limitando il tempo di gioco ai minorenni ad un’ora – dalle 19 alle 20 – da Lunedì a Giovedì e tre ore al giorno nel weekend. A questo punto, date le attuali scarse evidenze scientifiche e la testimonianza di cui sopra, sorge il dubbio che la decisione dell’OMS sia basata su pressioni politiche. Il Prof. Przybylski chiede dunque al Dr. Tedros e all’OMS di sospendere l’inclusione del Gaming Disorder nell’ICD11, poiché questa decisione non è basata su evidenze scientifiche ma pressioni politiche. Cala il silenzio in attesa di risposta, ma il caso vuole che si diffonda Omicron, una nuova variante di Covid, catturando l’attenzione del pubblico e anche quella dell’OMS, lasciando il quesito del Prof. Przybylski insoluto e il popolo dei videogiocatori con il fiato sospeso.”

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