“SAnPA”: L'OPINIONE DI COLETTI SUL MODELLO DI COMUNITA' TERAPEUTICA

data di pubblicazione:

18 Gennaio 2021

La serie tv, in cinque puntate, “SanPa”, , disponibile sulla piattaforma Netflix, sulla comunità di San Patrignano, ha acceso nelle settimane scorse un animato dibattito pubblico, non solo sulla storia della comunità riminese fondata da Muccioli, ma più in generale sulla questione droghe. Maurizio Coletti, presidente di Itaca, psicoterapeuta, interviene sul modello di Comunità Terapeutica, confrontando San Patrignano con altre esperienze coeve. Secondo Coletti, il modus operandi di San Patrignano denota, negli anni documentati dalla serie tv, dalla mancanza di criteri professionali e di standard scientifici necessari per essere definita Comunità Terapeutica: “Ciò che mi interessa affermare di San Patrignano è la mancanza di criteri minimi per essere definita una Comunità Terapeutica. (…) San Patrignano, invece, ha avuto (non so se ha ancora) le seguenti caratteristiche:

  1. mancanza di un programma terapeutico conosciuto e riconosciuto, che vada oltre allo stare insieme e al lavoro; in realtà si puntava su un programma di sostituzione della dipendenza: dalle sostanze alla comunità;
  2. mancanza di uno staff professionale o professionalizzato;
  3. mancanza di un sistema di valutazione degli outcomes e del processo (sullo “studio di valutazione” di Guidicini e Pieretti mi rifaccio allo statement della Consulta delle Società Scientifiche; proponemmo allora un confronto professionale, ma la richiesta cadde nel vuoto);
  4. mancanza di criteri adeguati circa il numero dei pazienti accolti. Ormai da decenni, le norme e gli studi prevedono per i programmi residenziali numeri che non superino le 40 unità. Oltre questo numero, la struttura non può essere adeguata;
  5. mancanza di una “replicabilità” del modello e del programma. È stato tentato molte volte di fondare un’altra San Patrignano sia sul territorio nazionale, che all’estero, ma senza successo. San Patrignano è unica e questo, dal punto di vista scientifico, è un punto debolissimo;
  6. mancanza di uno “spirito di rete”. È molto noto che il trattamento dell’addiction deve essere multimodulare. Nel senso che i bisogni del paziente dovrebbero essere affrontati da strutture, centri, professionisti diversi. Quello che a me consta, è che San Patrignano ha sempre avuto un atteggiamento supponente e giudicante nei confronti di altri centri di trattamento;
  7. mancanza di un’accoglienza che includa una diagnosi multipla e che permetta di identificare un percorso personalizzato;
  8. il fatto di non percepire una retta diaria per paziente ne appanna l’immagine: sono (erano) volontari. Ma titolati? Il sistema delle rette può essere formale ed è talvolta fiscale, ma è una garanzia. (…) E, se è vero che l’intero sistema socio sanitario, i professionisti, le strutture, le Istituzioni furono “prese di sorpresa” dal montare veloce dei consumi di sostanze, non si può non ricordare che, a partire dalla legge 685 del 1975 sono stati istituiti i servizi territoriali: prima i CMAS, poi i SAT, poi altre sigle differenti per Regioni, poi i SerT o SerD. E, verso la metà degli anni ’90, si contavano più di 600 servizi pubblici territoriali le cui prestazioni sono state sempre libere e gratuite. In quegli anni, i servizi di privato non lucrativo (in rapporto – difficile – con i servizi pubblici, destinatari di rette insufficienti, ma convenzionati con il pubblico) arrivò a superare le 1300 strutture: Servizi residenziali, ambulatoriali, semiresidenziali e unità di Riduzione del Danno. A questo difficile, faticoso percorso per il raggiungimento di un’integrazione articolata, solida e permanente, San Patrignano non ha partecipato mai.

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