COLTIVAZIONE DELLA CANNABIS: UN COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

data di pubblicazione:

10 Gennaio 2020

Non è ancora chiaro quali saranno gli effetti concreti della sentenza della Cassazione del 19 dicembre 2019, che secondo alcune interpretazioni consentirebbe una depenalizzazione della coltivazione di cannabis, purché sia dimostrabile che sia per esclusivo uso personale. In attesa di conoscere il testo integrale della sentenza, con le relative motivazioni, è opportuno chiarire che tale pronuncia non autorizza di per sé la coltivazione di cannabis, che comunque rimane un reato. Le Camere Penali riunite hanno deliberato per la prima volta che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica“. Attività di coltivazione che – si sottolinea – “per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
In sostanza chi coltiva per sè non compie più un reato penale. Viene propugnata così la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi per sè qualche piantina. Eppure, sempre la stessa sentenza chiarisce che la coltivazione, anche se per evidente uso personale, costituisce comunque reato. “Il reato di coltivazione di stupefacente – si legge nella massima provvisoria emessa dalla Corte dopo l’udienza del 19 dicembre – è configurabile indipendentemente dalla quantita’ di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformita’ della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalita’ di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”.

Dunque, cosa cambia rispetto alla situazione precedente? Su questo punto decisivo, le opinioni divergono. Secondo Leonardo Fiorentini, direttore di Fuoriluogo, è una pronuncia importante, ma che, in assenza di un intervento politico, non cambia nulla di sostanziale: “Questo significa che comunque andranno applicate le sanzioni amministrative di cui all’art. 75 del DPR 309/90 al reo, ma che la coltivazione ad uso personale non debba venire automaticamente assimilata allo spaccio e quindi punita con una pena dai 2 ai 6 anni di carcere, anche se spesso veniva considerata fatto di lieve entità (da 6 mesi a 4 anni). La Corte ha quindi fatto sua una interpretazione della norma ampiamente diffusa nei collegi giudicanti italiani, che assolvevano il coltivatore per uso personale laddove questo fosse in qualche evidente o provato dalla difesa (…) Purtroppo la politica è sorda agli appelli che in questi anni abbiamo fatto più volte per un intervento legislativo di riforma complessiva del DPR 309/90 che compie ormai 30 anni.”

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