NON AMMESSO DALLA CORTE COSTITUZIONALE IL REFERENDUM SULLA CANNABIS

data di pubblicazione:

22 Febbraio 2022

Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale ha reso noto la propria decisione sull’ammissibilità dei vari quesiti referendari proposti, concludendo che quello sulla cannabis non è ammissibile. Anche se non sono state ancora rese note le motivazioni, secondo quanto riportato in una conferenza stampa dal Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, la bocciatura sarebbe attribuibile al fatto che il quesito era formulato in modo tale da riguardare tutti gli stupefacenti, non solo la cannabis, violando così, se fosse stato ammesso, una serie di disposizioni di legge. Secondo i promotori, invece, non vi sarebbe stato alcun errore formale: la formulazione ambigua, secondo Amato, del quesito deriverebbe dalla versione della legge di riferimento.

In una ricostruzione della vicenda, il quotidiano online Post riassume così la questione: “Le motivazioni della Corte saranno spiegate in maniera più estesa quando verrà depositata la sentenza, ma secondo quanto detto da Amato in conferenza stampa il problema principale del quesito stava nella sua formulazione, e in particolare nel riferimento che si fa al comma 1 dell’articolo 73 del Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope. Il comma è relativo alle pene per chi produce sostanze stupefacenti, e i promotori del referendum avevano chiesto di eliminare la coltivazione dai comportamenti punibili. Ma nel comma si fa riferimento alle “tabelle 1 e 3” dell’articolo 14, in cui sono comprese piante di oppio e coca, da cui – con una serie di lavorazioni – si ricavano eroina e cocaina. In quelle tabelle non c’è però la cannabis, che è invece presente nella tabella 2. Secondo la Corte il comitato referendario avrebbe quindi fatto l’errore di far riferimento a una tabella che include piante da cui si ricavano droghe pesanti, di fatto legittimandone la coltivazione.

Secondo il comitato però non si tratterebbe di un errore, bensì dell’unico modo per affrontare con un referendum il tema della depenalizzazione della coltivazione della cannabis in Italia. (…) La disputa è complicata e inevitabilmente riguarda interpretazioni giuridiche e commi. In particolare, al centro della questione c’è il comma 4 dell’articolo 73 del Testo Unico sugli stupefacenti, in cui si fa riferimento alle pene riguardanti le droghe in “tabella 2”, tra cui la cannabis, e si dice che vale quanto disposto dal comma 1. I due commi sono quindi correlati, e le pene per la coltivazione della cannabis sono collegate a quelle previste dal comma 1, relativo invece alle droghe pesanti.

In sostanza, il comitato referendario dice di aver fatto riferimento al comma 1 non per errore, ma perché l’unico modo per depenalizzare la coltivazione della cannabis tramite referendum era depenalizzare contestualmente anche la coltivazione di tutte le altre piante citate nel Testo Unico. Il comitato ha quindi dovuto proporre «di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi pianta», non soltanto della cannabis, ma ha specificato sul suo sito che «la cannabis è l’unica sostanza che non richiede ulteriori passaggi prima di essere consumata», al contrario per esempio di oppio e coca, che devono essere trasformati e lavorati per diventare eroina e cocaina. Le piante di coca, peraltro, in Italia non crescono. Le lavorazioni per ricavare eroina e cocaina, in ogni caso, non sarebbero state permesse anche se il referendum fosse passato, perché «la detenzione di piante, foglie e fiori a fini di spaccio e le attività di fabbricazione, estrazione e raffinazione, necessarie ad esempio alla cocaina e l’eroina» avrebbero continuato «a essere punite». Dopo la bocciatura del referendum, il comitato promotore ha risposto ad Amato scrivendo che non ci sono stai errori tecnici nella formulazione del quesito.

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