SEX ADDICTION E RETE AI TEMPI DELL'ISOLAMENTO SOCIALE

data di pubblicazione:

12 Aprile 2020

Anna Paola Lacatena, sociologa e coordinatrice del Gruppo “Questioni di genere e legalità” della Società Italiana delle Tossicodipendenze (SITD), in un articolo pubblicato su il Quotidiano della Sanità, discute alcune problematiche di sex addiction che stanno emergendo alla luce dell’isolamento sociale dovuto al Covid-19. Se è vero che è da almeno due decenni che, con lo sviluppo della rete, la sessualità “virtuale” è diventata di massa, il numero di utenti che da un mese usufruisce di siti pornigrafici è in deciso aumento e ciò interroga Lacatena sulle possibili conseguenze cliniche. Cosa può determinare questo ricorso massiccio a surrogati affettivo-sessuali, quali conseguenze a medio e a lungo termine può portare sulla salute psico-fisica degli individui e delle coppie?

Scrive la sociologa: “Il surrogato affettivo-sessuale al tempo della relazione negata, del corteggiamento mistificato, dell’intimità da esibire può determinare una vera e propria dipendenza con craving, secondo il DSM V (ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) da intendersi come desiderio impulsivo applicabile non solo rispetto ad una sostanza stupefacente (legale o illegale) ma, vedi fattispecie in questione, ad un comportamento gratificante senza sostanza. Lo stesso manuale diagnostico getta le basi di un futuro riconoscimento della patologia, riportandolo al momento come “disordine ipersessuale”.
Le conseguenze intrapsichiche e fisiche calate come non mai nel contesto culturale ed emergenziale di questi giorni segnerebbero conseguenze da attenzionare con giustificata apprensione”. La facile eroticità veicolata dalle immagini, l’immensa quantità di offerta online (gratuite o a pagamento), il tempo a disposizione, l’estrema reperibilità del prodotto in un click, la possibilità di salvaguardare l’anonimato, rischiano in questi giorni di disseminare il cammino ideativo di categorie fragili (giovanissimi) – e non solo almeno all’apparenza – di significativi rischi.

Le categorizzazioni si distinguono, in un crescendo rispetto al rischio di sviluppare una dipendenza, in: gli utilizzatori ricreativi (Recreational Users), i compulsivi sessuali (Sexual Compulsives Users) e gli utilizzatori a rischio (At- Risk Users) (Cooper 1999, Cantelmi 2005, Lambiase 2010).
Sebbene, in ambito scientifico, per alcuni si dovrebbe ancora parlare di un disturbo ossessivo-compulsivo (Kingstone, 2008), mentre per altri di una sorta di mito in sé (Giles, 2006).

In ogni caso, al di là della possibile e puntuale identificazione clinica, Riemersma e Sytsma (2013) hanno coniato la definizione di «contemporary sexual addiction», restituendo al fenomeno il peso del contesto e della cultura.
Si tratterebbe, infatti, secondo i due studiosi di una vera e propria interazione continua e tossica tra tempi di esposizione, ripetitività del comportamento, contenuti e cultura dominante.

Secondo K.S. Young (2001) bisognerebbe, anche in chiave terapeutica, che la persona a rischio rivedesse il proprio rapporto con gli strumenti multimediali, riducesse i tempi di esposizione, ristabilisse relazioni significative offline, il tutto avviando un processo di auto-esplorazione in grado di ridisegnare un’immagine di sé migliore.

L’evidenza empirica in termini di dipendenza da sesso online non sembra coinvolgere un numero esiguo di persone, l’attuale entusiastica apertura verso un più ampio dominio dell’informatizzazione e del lavoro agile semina il sospetto circa un imminente aumento di tali problematiche (Orzack & Ross, 2000).

Se in ambito scientifico la dipendenza da sesso virtuale rivendica la propria legittima autonomia nosologica rischiamo di fornirgli incoraggianti sviluppi grazie alle limitazioni imposte dal Covid-19… il tutto a diffusione planetaria”.

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